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O giudici o primedonne, tocca a loro scegliere

28 settembre 1999

Il Resto del Carlino, 28 settembre 1999

Due servizi  del Corriere della Sera sulla criminalità minore apparsi giorni fa pur non dicendo niente di nuovo offrono egualmente utili spunti di riflessione. 

Nel primo dei due servizi, del 19 settembre scorso, si riferisce di un parroco che nonostante fosse stato ferito e scippato della sua pensione non aveva presentato denunzia. Ai poliziotti che gli chiedevano le ragioni di una tale omissione candidamente ha risposto che, al pari di tanti suoi parrocchiani vittime di simili aggressioni, aveva ritenuto del tutto inutile sporgere denunzia perché ben sapeva che non ne sarebbe sortito alcun effetto. Purtroppo non si tratta di una sfiducia circoscritta ad alcune zone del Paese.  Da tempo è infatti ben noto che molti di coloro che vengono derubati in casa o per la strada o che subiscono una rapina sono restii a compiere l’inutile rito della denunzia se non nei casi in cui ciò è necessario per poter poi riscuotere premi assicurativi o ottenere il duplicato di documenti. Alla luce di questo fenomeno divengono quindi molto riduttivi di una realtà ben più allarmante persino gli ultimi drammatici dati ufficiali forniti, nel 1997, dal Procuratore Generale della Cassazione sul numero dei reati inutilmente denunziati, e cioè  il  97,4% dei furti (1.790.000) e l’86% delle rapine.   Ne consegue che di fatto il furto non è più un reato nel nostro Paese. E tendono a non esserlo neppure, nella stragrande maggioranza dei casi, le aggressioni e le rapine.  Cioè proprio quei fenomeni criminali che più direttamente  minacciano la sicurezza dei cittadini.  In uno studio di oltre dieci anni fa mi domandavo come mai i cittadini non si ribellassero. Ora hanno cominciato a farlo e da quello che si capisce chiamano in causa chi governa le città, cioè i sindaci che tuttavia, a differenza dei loro colleghi di altri Paesi, non hanno alcun potere a riguardo.

Nell’altro servizio -del 18 settembre- viene intervistato un noto magistrato di Napoli, il dott. Marmo, che ci spiega come i nostri pubblici ministeri nel definire le loro priorità di lavoro e nel compiere le indagini trascurano i fenomeni di criminalità “minore” per privilegiare le iniziative penali e le indagini che danno loro notorietà. Questa affermazione, che peraltro trova affidabili riscontri in sede di ricerca, ha una serie di preoccupanti implicazioni delle quali probabilmente il dott. Marmo non si è reso neppure contro.  Non solo dà ragione a quei cittadini che considerano inutile denunziare furti, rapine e aggressioni ma ci ricorda anche che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non è altro che una foglia di fico dietro la quale i pubblici ministeri che lo vogliono hanno potuto e possono irresponsabilmente perseguire obiettivi ed interessi di tipo personale e politico. Non solo  quelli  indicati dal dott. Marmo (di acquisire notorietà sui giornali ed in tv),  ma anche interessi meno eterei e materialmente più appetibili.  Gli incarichi extragiudiziari retribuiti elargiti ai magistrati negli ultimi decenni ammontano a molte migliaia.  Molti sono inoltre i magistrati che operano direttamente in politica: dagli anni 70’ in poi abbiamo sempre avuto un consistente numero di magistrati eletti al Parlamento (ora sono 27),  alcuni sono divenuti parlamentari europei altri sono divenuti ministri e sottosegretari, altri presidenti di regione o sindaci di grandi città. Abbiamo avuto persino un magistrato segretario nazionale di un partito Politico (Enrico Ferri, ora deputato europeo, anni fa è stato segretario nazionale del Partito Socialdemocratico).  Sarebbe certamente utile eliminare questi fenomeni vietando ai magistrati di ricevere da fonti esterne incarichi retribuiti, di accedere a cariche elettive, governative e amministrative. Sarebbe certamente opportuno eliminare le carriere automatiche e ripristinare le valutazione del merito professionale, vietando al contempo che si possa far carriera senza aver mai esercitato le funzioni giudiziarie (tra i tanti, il caso più famoso è quello dell’ex presidente Scalfaro, sempre rieletto in Parlamento dal 1946 in poi, che ha percorso tutti i gradini della carriera di magistrato fino ai più alti vertici senza aver svolto per un solo giorno funzioni giudiziarie e percependo persino il doppio stipendio di magistrato e di parlamentare sino al 1993).  Innovazioni di questo tipo certamente garantirebbero meglio la professionalità e l’indipendenza dei magistrati,  ed eliminerebbero quella confusione tra classe politica e magistratura che non trova riscontro in nessuno degli altri paesi a tradizione demoliberale. Diminuirebbe anche l’interesse dei magistrati a perseguire la notorietà sui media, come sembra auspicare il dott. Marmo, ma non ci sarebbe comunque un riequilibrio nelle indagini a favore dei reati “minori”. Non ci sarebbe perché la commistione nelle mani di una stessa procura di tutti i reati da quelli più gravi a quelli “minori” farà sempre pendere la bilancia a favore dei primi: essendo materialmente impossibile perseguire tutti i reati con il necessario impegno è fatale che il singolo pubblico ministero tenda a dare la precedenza  all’omicidio, alla corruzione o allo stupro rispetto allo scippo.  Se si vuole che, pur nella impossibilità di perseguire tutti i reati, quelli “minori” non vengano comunque esclusi è necessario che si creino uffici di procura con competenza limitata proprio ai reati “minori” di prevalente natura locale (la unificazione delle procure di pretura e di tribunale che entrerà in vigore il prossimo gennaio va invece nella direzione opposta).  Per potenziare le motivazione e l’attenzione di questo nuovo pubblico ministero e renderlo sensibile alle aspettative di sicurezza della comunità in cui opera sarebbe anche opportuno che il capo di tale ufficio fosse eletto (la nostra Costituzione lo consente) sulla base di impegni programmatici di contrasto alla criminalità “minore” riferite alle specifiche esigenze locali.  Non solo la repressine dei reati minori diverrebbe più efficace e più rispondente alle aspettative delle diverse comunità, ma ne guadagnerebbe anche  la legittimazione del ruolo del pubblico ministero agli occhi dei cittadini. Ne deriverebbero vantaggi anche per la prevenzione dei reati più gravi, essendo ben noto che  proprio l’ampio e diffuso settore della criminalità “minore” costituisce oggi l’indisturbata palestra in cui crescono e si affermano coloro che poi vengono reclutati nei ranghi di quella “maggiore”, divenendone i protagonisti.

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