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Ostellino e Montesquieu

26 ottobre 1999

Il Resto del Carlino, 26 ottobre 1999

Di solito leggo con piacere gli articoli di Piero Ostellino sul Corriere della Sera.  Purtroppo  alcuni giorni fa ne ha scritto uno, “L’abiura di Montesquieu”, in cui si fa portavoce di convincimenti errati e fuorvianti ma tuttavia ampiamente diffusi nel nostro Paese, soprattutto nell’ambito della sinistra.  In questo articolo Ostellino critica ferocemente alcune delle proposte fatte da Berlusconi nel Security day. In particolare quella nella quale si prevede che sia il Parlamento a definire, su proposta dei ministri della giustizia e degli interni, quali debbano essere le priorità che i pubblici ministeri devono osservare nell’esercizio dell’azione penale. Ostellino sostiene che questa proposta “cozza con il principio fondamentale del  pensiero liberale moderno, e cioè la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario” e sia tale da far “sobbalzare nella tomba” il povero Montesquieu. Niente di meno vero.

Ostellino sembra ritenere che, secondo Montesquieu e secondo i pensatori liberali, in un regime democratico neppure i parlamenti possano stabilire regole di priorità che i pubblici ministeri sono tenuti a seguire nelle indagini e nell’esercizio dell’azione penale: se lo facessero violerebbero il principio della divisione dei poteri.  Il principale errore di Ostellino è quello di ritenere che nel pensiero di Montesquieu e nelle varie concezioni liberali della divisione dei poteri il pubblico ministero faccia parte del potere giudiziario.  Per la verità Montesquieu includeva nel potere giudiziario solo i giudici,  che nella sua concezione erano organi “passivi”, niente di più che la mera “bocca della legge”. Inoltre, Italia a parte, in nessuno dei Paesi a più consolidata tradizione demoliberale il pubblico ministero fa parte del potere giudiziario. Che anzi nella quasi totalità di essi il pubblico ministero è inquadrato nell’ambito del potere esecutivo.  Solo in Francia e in Italia i pubblici ministeri appartengono allo stesso ordine. Anche in Francia, tuttavia, quando i magistrati esercitano le funzioni di pubblico ministero sono inquadrati organicamente nel potere esecutivo e dipendono gerarchicamente dal Ministro della giustizia.   In tutti quei paesi, tranne che in Italia, si riconosce che l’elevato numero dei reati commessi non consente di perseguirli efficacemente tutti.  Di conseguenza vengono in vario modo fissate delle priorità dai ministri della giustizia e/o dai parlamenti (d’altro canto l’opportunità di fissare tali priorità è stata chiaramente espressa in formali raccomandazioni sia dalla Comunità Europea sia da organismi dell’ONU). Adottando i criteri espressi da Ostellino nel suo articolo bisognerebbe quindi concludere che gli assetti istituzionali di Inghilterra, Scozia, Stati Uniti, Canadà, Australia, Germania, Olanda, Belgio, ecc. tutti “cozzano con il principio fondamentale del  pensiero liberale moderno, e cioè la separazione dei poteri….”.   Vorrebbe anche dire che il riposo di Montesquieu trova da molto tempo motivi di turbamento ben più seri e consistenti di quelli che gli potrebbero ora derivare dalla proposta avanzata da Berlusconi.

A scanso di equivoci aggiungo subito che è invece una questione seria, molto dibattuta in vari paesi democratici, e di non facile soluzione quella di trovare le più efficaci modalità per evitare che le maggioranze di governo possano orientare a fini di parte i comportamenti (attivi od omissivi) dei pubblici ministeri. Per dare soluzione a questo problema le riforme introdotte o in via di approvazione in diversi paesi vanno nella direzione di assicurare la massima trasparenza possibile alle procedure con cui gli organi dotati di legittimazione democratica definiscono le priorità e danno ad esse attuazione.  Non orientarsi in questa stessa direzione anche in Italia significa seguitare a lasciare di fatto nelle mani dei singoli componenti di un corpo burocratico, cioè i pubblici ministeri, la possibilità di scegliere con ampia discrezionalità, senza trasparenza e responsabilità alcuna, le priorità con cui condurre le indagini ed esercitare l’azione penale.  Lasciare cioè a persone prive di qualsiasi legittimazione democratica una ampia discrezionalità nel definire le politiche pubbliche del Paese nel settore criminale e con esse anche la effettiva protezione da accordare di volta in volta alle nostre libertà civili nell’ambito processuale.  E’ proprio sicuro Ostellino che questo aspetto del nostro assetto istituzionale si uniformi ai canoni di uno stato liberale?   Certamente non era di questo avviso Giovanni Falcone che in suo scritto, dopo aver evidenziato le diversità con cui in Italia i pubblici ministeri esercitano i loro poteri di indagine e di iniziativa penale, nonchè le occasioni di protagonismo che questo assetto genera, così aggiunge:  “E allora ci si domanda come mai in un regime liberal democratico quale quello del nostro Paese,  non vi sia ancora una politica giudiziaria, e tutto sia riservato alle decisioni, assolutamente irresponsabili, dei vari uffici di procura e spesso dei singoli sostituti…..Mi sento di condividere l’analisi secondo cui in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del pubblico Ministero, saranno sempre più gravi  i pericoli che influenze informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività”. 

Aggiungo una postilla. La proposta di Berlusconi che tanto turba Ostellino non è né nuova né originale.  Non è nuova neppure per Berlusconi perché era già inclusa tra quelle che Forza Italia aveva presentato due anni fa alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali; non è originale perché quella proposta, insieme alle altre allora presentate da Forza Italia sulla giustizia, sono copiate quasi per intero da un progetto di riforma della giustizia che io stesso avevo scritto anni prima -tenendo conto delle esperienze degli altri paesi democratici- e che l’On. Tiziana Parenti aveva ricevuto, come ebbe a dirmi, dall’On. Giuseppe Gargani.

 

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