La bugia di Veltroni sui giudici
Il Resto del Carlino, 18 gennaio 2000
Poco più di un mese fa su questo giornale abbiamo segnalato il caso di un giudice della cassazione, già deputato eletto nelle liste del PCI per più legislature (cioè l’On. Onorato), che aveva scritto una sentenza di condanna nei confronti di un deputato dichiaratamente anticomunista (l’On Dell’Utri). Abbiamo in quell’occasione sottolineato come l’episodio contraddicesse clamorosamente le aspettative di indipendenza e terzietà del giudice e ne delegittima la funzione. Abbiamo segnalato, per giunta, che in quel caso il giudice ex deputato del Partito Comunista aveva anche negligentemente omesso di considerare una richiesta di condono presentata dagli avvocati difensori di Dell’Utri.
Questo evento deve aver colpito l’attenzione del Segretario dei Democratici di Sinistra, On. Veltroni, che nella relazione al congresso del suo partito ha affrontato, ovviamente in termini generali, quel problema ricordando “che molti magistrati, entrano in politica. E che lo hanno fatto dopo aver condotto inchieste nei confronti degli avversari dello schieramento nel quale si candidano”. Ha affermato quindi che “i numeri dicono che questo fenomeno ha riguardato più la destra che la sinistra” aggiungendo, con ingiustificato buonismo, di non voler usare questo argomento contro gli avversari politici. Ha proposto quindi che “chi, uscito dalla magistratura, decida di farsi esponente di una parte politica, non può, terminato il suo mandato politico, tornare in magistratura”. Mi sembra che l’On.Veltroni, nel suo difficile cammino di comprensione delle caratteristiche di uno stato liberale, stia andando nella direzione giusta. Poiché da moltissimi anni mi occupo anche di quella questione vorrei aiutare l’On. Veltroni a riflettere in maniera più articolata sul problema che dice di voler affrontare. Lo farò dopo aver corretto alcune falsità di cui si è fatto portatore.
L’On. Veltroni dice certamente il vero quando afferma che esiste una relazione tra le iniziative giudiziarie che i magistrati intraprendono contro esponenti di una forza politica ed il successo con cui vengono candidati nelle liste elettorali della forza politica che hanno di fatto favorito. E’ assolutamente falsa invece l’altra affermazione dell’On. Veltroni secondo la quale “i numeri dicono che questo fenomeno ha riguardato più la destra che la sinistra”. Infatti, nelle elezioni politiche del 1994 (cioè quelle tenute dopo che le iniziative penali della magistratura avevano di fatto eliminato dalla scena politica i maggiori leaders delle formazioni politiche tradizionalmente avversarie del Partito Comunista) ben 15 magistrati parlamentari su 22 furono eletti nelle liste presentate dall’ex Partito Comunista dell’On. Veltroni (uno di essi e cioè il siciliano On. Ayala, eletto non a caso in Emilia Romagna, aderì poi al gruppo misto della Camera). I parlamentari eletti nelle liste del centro destra furono, invece, solo tre. Non solo. L’orientamento del partito dell’On. Veltroni a favorire l’ingresso dei magistrati nell’ambito della politica attiva si manifestò chiaramente anche nelle elezioni regionali e comunali della metà degli anni ’90. In tale occasione, infatti, il partito dell’On. Veltroni determinò l’elezione di due presidenti di regione (Marche e Sardegna), e di almeno 4 dei 5 sindaci magistrati dell’epoca (tra questi quello di Genova). La prevalenza dei magistrati Parlamentari eletti nelle liste della sinistra si è confermata, seppur di poco anche nelle elezioni politiche del 1996 con 14 parlamentari magistrati su 27.
Sarebbe facile, ma un po’ lungo, ricordare le modalità con cui il partito dell’On. Veltroni anche prima del 1994, ed a partire dagli anni ’60, abbia in vario modo ed in maniera costante perseguito con successo l’obiettivo di creare una rapporto privilegiato con la magistratura, con ciò stesso contribuendo in maniera decisiva a quella vistosa erosione del confine tra classe politica e magistratura che ci distingue (negativamente) da altri sistemi liberal-democratici. Ciò che ci interessa qui è appurare se la proposta che l’On Veltroni ha fatto al congresso del suo partito sia idonea a ristabilire quella linea di confine. A tal fine non basta infatti vietare il reingresso in magistratura dei giudici e pubblici ministeri che sono stati eletti in Parlamento. E’ necessario invece vietare che i magistrati possano acquisire qualsiasi tipo di gratificazione che provenga direttamente od indirettamente dal patrocinio dei partiti politici (e cioè gli incarichi all’interno delle strutture di governo nazionale e locale, gli incarichi extragiudiziari, ecc.), di destra o sinistra che siano. Proposte di questo genere erano state formulate nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali e furono avversate dal Partito dell’On. Veltroni (allora il ministro della giustizia del governo di cui Veltroni era vice primo ministro, il prof. Flick, propose addirittura di riconoscere esplicitamente con apposita legge il diritto dei magistrati ad accedere a tutte le cariche elettive e di governo di livello locale, nazionale ed internazionale senza dimettersi dalla magistratura). Vi è veramente un cambiamento di orientamento a riguardo o, ancora una volta, le pressioni della potente organizzazione sindacale dei magistrati e le carenze di cultura liberale saranno decisive nel determinare i comportamenti del partito dell’On. Veltroni in materia di ordinamento giudiziario?