Unica via d’uscita sveltire i processi
Il Resto del Carlino, 15 febbraio 2000
Nei giorni scorsi abbiamo assistito agli ennesimi tentativi di imbarbarimento del nostro sistema giudiziario con i maldestri tentativi del Ministro dell’Interno Bianco che ha proposto di tenere in carcere i cittadini dopo la condanna in sede di appello e persino dopo la condanna in primo grado. Ha corretto in maniera alquanto goffa le sue proposte dopo che gli è stato ricordato da più parti che erano in contrasto con il principio costituzionale della presunzione di innocenza. Chi lo ha fatto nella maniera più adeguata è stato il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Vigna, che in una intervista al Corriere della Sera, non solo ha ricordato al Ministro i contenuti della nostra Costituzione ma ha anche indicato le principali innovazioni da adottare per evitare che pericolosi criminali continuino ad essere rimessi in libertà senza al contempo correre il rischio di tenere a lungo in carcere cittadini che poi -come più volte accaduto- risultano innocenti al successivo livello di giudizio (il periodo massimo in cui da noi si può tenere in carcere un cittadino non ancora condannato in via definitiva -cioè 6 anni- è già di gran lunga superiore a quelli previsti nei paesi europei ed extra-europeri a consolidata democrazia). Nella sostanza Vigna ritiene che invece di allungare i già lunghi termini in cui un cittadino -magari innocente- possa essere tenuto in prigione sarebbe non solo necessario ma anche possibile abbreviare i tempi dei processi. Questo magistrato di grande esperienza ed indubbia efficienza ci dice testualmente che bisogna intervenire “sull’organizzazione del nostro lavoro [cioè quello della magistratura]”, e aggiunge: “così non funziona bene, bisogna ammetterlo. Dovremo abituarci in fretta all’adozione di criteri manageriali. Bisogna adottare una nuova mentalità, e in fretta”. L’adozione di criteri manageriali, evocata da Vigna, certamente significa l’utilizzazione anche nell’amministrazione della giustizia di metodi di gestione in grado di promuovere e controllare la piena utilizzazione delle risorse umane per raggiungere più elevati rendimenti lavorati (e così anche diminuire drasticamente i tempi per la definizione dei processi). E’ una impostazione che da tempo caratterizza l’azione di molti governi democratici di altri paesi. In questa stessa direzione dovrebbe spingerci anche un triste primato che da anni deteniamo: siamo il Paese che ha collezionato in sede europea un numero di condanne superiore a quelle di tutti gli altri 14 Paesi messi insieme per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo proprio a causa delle eccessiva lunghezza dei nostri processi.
Dobbiamo doverosamente aggiungere che già in passato il dott. Vigna coltivava gli orientamenti espressi nella intervista appena citata. Una quindicina di anni fa ci parlò di quell’esigenza nel corso di un seminario che tenne nel Centro universitario da me diretto e la illustrò con un esempio di quanto accaduto ad un giovane magistrato che lui conosceva molto, molto bene: anni addietro quel magistrato era stato assegnato ad un ufficio giudiziario di Milano ed aveva cercato di svolgere il suo lavoro con diligenza ed impegno. Gli fu fatto capire come questo suo comportamento avesse irritato i suoi colleghi perchè evidenziava come essi stessi avrebbero potuto lavorare con più elevata produttività
Segnalare le sagge proposte del dott. Vigna non significa affatto dimenticare o liquidare come irrilevante e poco preoccupante che un Ministro dell’attuale governo abbia un livello di professionalità ed una concezione dei valori di libertà tali da proporre forme di carcerazione che violano il principio costituzionale della presunzione di innocenza o anche di elevare la lunghezza di una carcerazione preventiva, la nostra, che già supera di molto quella degli paesi democratici Non si può liquidare come irrilevante perché la bassissima attenzione che questo governo e questa maggioranza accordano alla protezione delle libertà individuali sembra costituire una delle caratteristiche più salienti del loro DNA (cosa peraltro non sorprendente se si pensa alle origini politico-culturali dei Democratici di Sinistra). Gli esempi sono tanti da riempire un volume. Ci limitiamo a ricordare solo quelli degli ultimi due mesi. Poiché ha di recente occupato le prime pagine dei giornali e telegiornali, tutti hanno ben presente il tentativo a stento arginato del presidente diessino della commissione giustizia, l’On. Anna Finocchiaro, di svuotare le garanzie del giusto processo contenute nel nuovo articolo 111 della Costituzione. Meno attenzione si è invece dedicata alle gravissime implicazioni derivanti dalla recente entrata in vigore del giudice unico di prima istanza anche nel settore della giustizia penale. A riguardo va ricordato che nell’Europa continentale una delle maggiori garanzie di un processo equo, equilibrato ed attento a proteggere le libertà e la dignità dell’individuo è sempre stata identificata nel giudizio collegiale. E’ un orientamento ben emblematizzato nell’aforisma caro ai giuristi francesi “juge unique, juge inique” (giudice unico, giudice iniquo). In Germania un singolo giudice può erogare pene fino ad un massimo di un anno, in Olanda fino ad un massimo di 6 mesi. Per tutte le pene superiori è previsto un collegio di giudici. A seguito delle leggi promosse da questo Governo e da questa maggioranza, dal primo gennaio di quest’anno un giudice singolo può da noi erogare pene di ben dieci anni. Per giunta le garanzie sulle qualificazioni professionali dei nostri magistrati sono le più basse d’Europa. Pensavo proprio a questo l’altra sera quanto sentivo il Presidente del Consiglio affermare che il suo governo è il più qualificato a garantire che il nostro Paese non si allontani dall’Europa.