Magistrati in politica: solo in Italia è una cosa normale
Il Messaggero, 7 maggio 2000
Elevatissima è la confusione tra magistratura e classe politica in Italia. Non ha eguali in nessuno degli altri paesi a consolidata tradizione demo-liberale. Iniziative, anche recentissime, del governo di centro-sinistra intendono dare piena legittimazione a quella confusione e favorirne l’ulteriore sviluppo. Vediamo brevemente di che si tratta.
Gli aspetti più visibili della confusione tra magistratura e classe politica sono quelli dei molti magistrati che, in numero crescente soprattutto a partire dagli anni ’70, partecipano attivamente alle campagne elettorali dei vari partiti e vengono eletti nelle loro liste a tutti i livelli della rappresentanza politica: al Parlamento italiano ed a quello europeo, nei consigli regionali, provinciali e comunali. Nelle elezioni del 1996 per il Parlamento attualmente in carica sono stati eletti 27 giudici e pubblici ministeri in rappresentanza di vari partiti (ma ben 50 erano candidati). Due magistrati sono stati eletti l’anno scorso al Parlamento Europeo. Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto due presidenti di regione magistrati (Sardegna e Marche), ed un terzo è stato di recente sconfitto alle elezioni per la regione Puglia. Abbiamo avuto magistrati ministri, magistrati sottosegretari, magistrati assessori regionali e comunali, magistrati sindaci di città piccole e grandi (come ad esempio Perugia e Genova). Abbiamo avuto persino un magistrato segretario nazionale di un partito politico, quello Social-Democratico (si tratta di Enrico Ferri, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati).
Negli altri Paesi democratici queste confusioni o non possono avvenire (ad esempio negli Stati Uniti) oppure assumono dimensioni assolutamente trascurabili. A buona ragione verrebbero considerate in contrasto insanabile con l’esigenza di tutelare l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. Per rendersene conto basta domandarsi: cosa può spingere i partiti politici ad offrire posizioni di grande prestigio e di elevata retribuzione ai magistrati? L’acquisizione di cariche elettive, di governo, o addirittura di partito è di regola il risultato di una prolungata militanza politica e comunque implica il riconoscimento da parte dei singoli partiti che le persone prescelte abbiano mostrato nel loro concreto operare comportamenti di fattivo appoggio agli orientamenti politici del partito, oppure anche di efficace contrasto agli interessi dei partiti avversi. E’ possibile immaginare che questa “regola” non valga per i magistrati e che non si riferisca anche alla loro pregressa attività giudiziaria? Nell’apprendere quanto sia da noi diffusa la confusione tra magistratura classe politica, studiosi, magistrati e politici di altri Paesi democratici mostrano sempre molta meraviglia. Meraviglia ancora maggiore mostrano nell’apprendere alcuni particolari aspetti di tale confusione. In particolare due.
Il primo. Riesce loro difficile comprendere che i magistrati parlamentari, ministri, sottosegretari, presidenti di regione, sindaci, ecc. non solo rimangono negli organici della magistratura ma che nel frattempo continuano anche a fare regolarmente la loro carriera giudiziaria. Che cioè nel mentre svolgono funzioni di rappresentanza partitica nelle varie istituzioni il Consiglio Superiore della Magistratura li promuove comunque “per meriti giudiziari” anche se non hanno svolto neppure un giorno di attività giudiziaria. Un vero e proprio miracolo corporativo che tuttavia ha perso un po’ del suo smalto originario. Fino al 1993 i magistrati parlamentari godevano anche del doppio stipendio (quello di magistrato e quello di parlamentare), ora “solo” della doppia pensione.
Il secondo. I nostri interlocutori stranieri rimangono ancor più meravigliati quando apprendono che al termine del loro mandato di rappresentanza politica i nostri magistrati no solo ornano a svolgere le funzioni di giudice ma possono anche giudicare e condannare i politici di un partito dichiaratamente avverso a quello che loro hanno rappresentato: il caso più noto è avvenuto nel novembre scorso quando un giudice di cassazione, il Dott. Onorato, che a lungo era stato parlamentare eletto nelle liste del Partito Comunista, è stato l’estensore di una condanna di un deputato appartenente a un partito dichiaratamente anticomunista, l’on. Dell’Utri di Forza Italia. In quella sentenza ha tra l’altro disposto che l’on. Dell’Utri non possa più far parte del Parlamento europeo e italiano, dimenticando persino di prendere in considerazione una circostanza attenuante richiesta dagli avvocati difensori che mirava ad evitare proprio questi effetti. Da noi tutto ciò è perfettamente regolare.
Sono forse in vista riforme che riducano la confusione tra magistratura e politica? No di certo. Le iniziative dei governi che si sono succeduti in questa legislatura vanno addirittura in direzione opposta. In un progetto di legge presentato dall’ex ministro della giustizia Flik venivano minuziosamente indicati, senza esclusioni, tutti gli incarichi di rappresentanza partitica cui i magistrati potevano aspirare ai livelli europeo, nazionale e locale, quasi a segnalare loro l’esistenza di incarichi di rappresentanza partitica da loro sinora trascurati. Ancor “meglio” ha fatto il ministro della giustizia Diliberto. Poco più di un mese fa (il 22 marzo scorso) ha fatto addirittura approvare dal Consiglio dei Ministri, ed ha quindi presentato in Parlamento, un disegno di legge in cui, tra l’altro, si propone di reclutare 200 magistrati in più per destinarli a funzioni diverse da quelle del magistrato, incluse quelle di rappresentanza partitica a tutti i livelli istituzionali.
Sono curioso di sapere come reagiranno i miei interlocutori stranieri a questa novità. Ma forse ormai non si meraviglieranno più di nulla.
Una sola postilla. Sarebbe oltremodo riduttivo valutare la confusione tra giustizia e politica ed il pericolo che questo fenomeno rappresenta per l’indipendenza dei nostri giudici sulla sola base del numero -pur elevato- di coloro che riescono effettivamente ad ottenere vantaggiose posizioni di rappresentanza partitica. Di gran lunga più elevato è ovviamente il numero dei magistrati che “si avvicina” ai vari partiti nella speranza di ottenerle.