Processo Andreotti, i cittadini pagano il conto
Il Messaggero, 12 luglio 2000
L’On. Tiziana Majolo ha presentato una interrogazione parlamentare, ignorata dai giornali, per sapere quanto era costato il procedimento giudiziario di primo grado del senatore Andreotti conclusosi, dopo 8 anni, con la sua assoluzione. Il ministro della giustizia le ha risposto che è costato 325 milioni e 761 mila lire. Giustamente l’On Majolo si è sentita presa in giro. E’ comprensibile. Anche uno sprovveduto capisce che quel processo è costato molti miliardi. L’On. Majolo ha quindi presentato una nuova interrogazione al Ministro dettagliando la richiesta di informazioni sulle spese sostenute nel corso delle indagini e delle 242 udienze: numero e costo delle ore di lavoro dei pubblici ministeri, dei giudici, degli impiegati, degli organi di polizia; costo dei viaggi in Italia e internazionali di magistrati, poliziotti e pentiti; pagamenti per i premi, gli stipendi, la protezione dei 38 pentiti e dei loro familiari; costo degli avvocati dei pentiti; costo della convocazione dei 566 testimoni; costo delle tecnologie impiegate, ecc., ecc. L’On. Majolo e tutti noi non sapremo mai con esattezza quanto effettivamente è costato quel processo perché, a differenza di altri paesi, non abbiamo una struttura contabile pubblica che lo consenta. La difficoltà di ottenere informazioni precise sui costi complessivi delle singole attività dei pubblici dipendenti certamente non riguarda solo l’amministrazione della giustizia. Con riferimento al processo penale ed in particolare alle attività dei pubblici ministeri essa assume, tuttavia, implicazioni particolarmente gravi sia per la protezione dei diritti civili del cittadino nell’ambito processuale sia per la finanza pubblica.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescendo di assoluzioni con formula pena sia prima che dopo le sentenze di Perugia e Palermo in cui si è riconosciuta la paese insussistenza delle prove in base alle quali i pubblici ministeri avevano immaginato che Andreotti avesse commissionato omicidi e si fosse dedicato ad attività mafiose (tra cui quella di baciare Riina). Le piene assoluzioni di Andreotti, Darida, Berlusconi, Carnevale………. e tanti altri personaggi noti sono solo la piccola punta di una iceberg che si compone di migliaia di persone sconosciute che si sta ampliando man mano che i giudici abbandonano l’orientamento a considerare i desideri colpevolisti dei Pubblici Ministeri come fossero delle prove. Come può avvenire che tante iniziative giudiziarie, tante costosissime indagini, risultino poi del tutto inconsistenti? Esistono controlli sull’operato dei pubblici ministri che tengano conto del rapporto tra investimenti e risultati? In altri paesi tali controlli esistono in varie forme: la sconfessione in giudizio delle tesi colpevoliste del pm è, soprattutto se ricorrente un chiaro indice della sua incapacità professionale e dell’incapacità del capo dell’ufficio che delle sue carenze non ha tenuto conto. Negli USA quando l’inconsistenza delle prove presentate dal PM risulta palese di frequente il giudice telefona al procuratore capo e gli fa presente in termini alquanto perentori di non essere disposto a tollerare che il suo tempo ed i soldi del contribuente siano sprecati da iniziative penali prive di una sufficiente solidità probatoria (e per comprendere quanto una iniziative dal genere da parte del giudice possa essere efficace bisogna ricordare che negli USA il pubblico ministero è un avvocato che temporaneamente esercita le funzioni giudiziarie e che in molti casi può anche essere licenziato per scarso rendimento). Tra i controlli esterni sull’operato ed i comportamenti del PM, negli USA vi è anche quello degli ordini degli avvocati che possono ritirare la licenza all’esercizio della professione forense ai PM che violano il codice di etica professionale degli avvocati (il che significa che i PM non potranno più esercitare la professione forense una volta terminato il loro servizio come PM). Da noi non esistono controlli che possano avere un minimo di efficacia sull’operato dei PM. La così detta “personalizzazione delle funzioni del PM”, fortemente voluta dal CSM e dal sindacato dei magistrati, fa sì che ciascun pubblico ministero possa decidere in piena autonomia, come si trattasse di proprietà privata, sui casi che gli vengono attribuiti. I loro fallimenti processuali non hanno alcun effetto sulla loro valutazione professionale (per fare solo un esempio: gli accusatori di Andreotti sono stati subito promossi o assegnati a prestigiosi incarichi istituzionali). Tutti i loro atti, per discrezionali che siano, per dannosi che siano stati per il cittadino, sono comunque e sempre considerati “atti dovuti” dei quali, quindi non possono essere chiamati a rispondere in nessuna sede. E si badi bene che l’ambito di irresponsabilità del nostro PM va anche più oltre. Ad esempio: i nostri PM possono persino intimidire impunemente i loro colleghi giudici che non accettano le loro richieste; possono occultare le prove favorevoli ad imputati che sono in detenzione preventiva; possono effettuare appelli nella più completa ignoranza dei documenti processuali ecc. (non si tratta di fantasie, questi casi hanno nomi, cognomi e date).
Da noi non solo non esiste alcun controllo volto ad evitare iniziative giudiziarie prive di reali contenuti probatori, ma se il problema viene sollevato esso assume immediatamente i contorni di un atto eversivo, di un pericoloso attentato al principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura. L’ultimo episodio del genere che conosco si è verificato nel corso di una seduta del CSM cui ho per caso assistito il…scorso. Gli avvocati penalisti napoletani avevano scritto un libro bianco incui si segnalavano una serie di disfunzioni della giustizia partenopea e tra esse anche indagini prive di giustificazione adottate dal procuratore capo dott. Codova (già distintosi in precedenza, quando era procuratore di Palmi per aver impegnato la sua procura in una dispendiosa indagine sulla Massoneria effettuata su scala nazionale che non mi risulta abbia dato alcun frutto, e che secondo i magistrati intervistati poi a Palmi ha procurato notevoli arretrati e ritardi in ufficio pesantemente gravato da procedimenti sulla criminalità organizzata). In un emotivo intervento sulla insindacabilità delle attività di indagine compiute da Cordova, il dott. Spataro, fino a qualche anno fa noto pubblico ministero di Milano, ha spiegato con successo ai suoi colleghi del Consiglio Superiore che la lamentela degli avvocati napoletani non poteva neppure essere presa in considerazione perché nessun controllo può essere legittimamente esercitato sulla opportunità, sulla utilità e sui costi delle indagini svolte da un qualsiasi PM poiché in tal modo si verrebbe ad interferire sull’obbligo costituzionale del magistrato inquirente di verificare la consistenza di qualsiasi notizia di reato pervenga in un qualsiasi modo alla sua attenzione.