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“E’ lecito criticare i giudici della Corte Costituzionale”

7 aprile 2001

LIBERO,  7/4/01

Circa una settimana fa Berlusconi ha espresso forti dubbi sulla imparzialità della nostra Corte costituzionale. Da allora sono piovute su di lui pesanti critiche da parte dei suoi avversari politici, da Fassino a Rutelli, da Veltroni a Castagnetti, fino alla reprimenda rivoltagli con piglio da grande statista da D’Alema nel corso dell’ultima trasmissione di Santoro, venerdì scorso.  In buona sostanza questi illustri patrioti si mostrano tutti seriamente preoccupati, addirittura angosciati, che in un domani possa governare chi, come Berlusconi, manca di rispetto alla Corte costituzionale sospettandola pubblicamente di parzialità politica.  Queste preoccupazioni non solo sono prive di fondamento ma rivelano scarsa dimestichezza con la storia delle istituzioni democratiche e dei complessi meccanismi di bilanciamento dei poteri che sono a presidio del loro corretto funzionamento. 

Nell’Europa continentale le corti costituzionali, che hanno compiti di giudicare della costituzionalità delle leggi, e di proteggere i diritti dei cittadini e delle minoranze, sono sorte, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale man mano che crollavano i regimi dittatoriali, prima quelli di destra e poi, più recentemente, quelli comunisti.  Antesignana e madre riconosciuta di tutte queste corti è la Corte Suprema  degli Stati Uniti che quelle funzioni esercita da oltre due secoli.  Ebbene la Corte Suprema degli Stati Uniti nel corso della sua lunga vita ha ricevuto da politici illustri del suo Paese una lunga serie di pesanti accuse di partigianeria sin dall’inizio delle sue attività, accuse che a volte si sono spinte sino alla richiesta di processare i giudici di quella corte per tradimento della Costituzione.  Critiche ed accuse le sono state mosse non solo da parlamentari, non solo da aspiranti presidenti, ma anche da parte di presidenti degli Stati Uniti in carica: da Jefferson a Lincoln, da Taft ad Eisenhower e a Nixon.  Non cito quanto detto da Nixon per evitare che i leaders del centrosinistra possano trarne lo spunto per accusare Berlusconi di essere stato l’ispiratore dello scandalo del Watergate.  Preferisco quindi citare alcune delle accuse mosse alla Corse Suprema dal Presidente F. D. Roosevelt, traendole da un suo discorso del 1937: “..La Corte non si è comportata come un organismo giudiziario ma come un corpo che assume decisioni politiche….Come Nazione siamo giunti ad un punto in cui prendere iniziative per salvare la Costituzione dalla Corte e la Corte da sé stessa…..Vogliamo una Corte Suprema che faccia giustizia secondo la Costituzione e non ponendosi sopra di essa….Nelle nostre corti vogliamo un governo di leggi e non di uomini.  Voglio, come tutti gli americani, giudici indipendenti come proposto dai nostri padri costituenti.  Vale a dire una Corte Suprema che applicherà la Costituzione così come è scritta e che rifiuterà di manipolarla con un uso arbitrario del potere giudiziario”.  Si tratta di critiche ed accuse che fanno apparire caute ed estremamente moderate quelle rivolte da Berlusconi alla nostra Corte.  Tuttavia, nessuno allora disse, o ha mai detto poi, che Roosevelt era o sia stato un pericolo per la democrazia. Coerenza vorrebbe, però, che alla luce di quelle citazioni i vari Rutelli, D’Alema, Fassino e Veltroni dichiarassero ora che sì, dopo tutto, Roosevelt è stato per la democrazia un pericolo ben maggiore di quanto non lo sia oggi Berlusconi.  Nell’attesa che ciò avvenga cerchiamo di riflettere brevemente col lettore sul perchè nei paesi democratici le critiche di partigianeria alle corti costituzionali sono ricorrenti e spesso molto aspre.  Nei suoi termini essenziali la spiegazione è semplice.  Le corti costituzionali esercitano uno dei poteri di maggior rilievo politico in democrazia, e cioè quello dichiarare illegittime, e quindi inapplicabili, le leggi approvate dalle assemblee legislative, cioè dalla maggioranza dei rappresentanti della sovranità popolare.  E’ un potere che trae origine dall’esigenza di evitare che, come avvenuto in passato anche in molti paesi europei, la maggioranza possa per legge conculcare i diritti delle minoranze e violare i diritti dell’uomo.  Tuttavia nello svolgere la loro attività le corti costituzionali giudicano utilizzando principi costituzionali che per la loro genericità si prestano spesso ad interpretazioni altamente discrezionali.  La nostra Corte Costituzionale non è seconda a nessuna nell’esercizio di tali rilevanti poteri:  non solo ha dichiarato incostituzionali, come è suo compito, norme approvate dal nostro Parlamento ma ha anche, in alternativa, ricorrentemente stabilito quale dovesse essere la loro interpretazione da parte di tutti i poteri dello Stato. A volte ha anche incluso nel nostro sistema giuridico norme che il Parlamento non aveva mai votato.  Alcune delle sue decisioni hanno persino determinato spese aggiuntive per l’erario dello stato di molte migliaia di miliardi.  E’ quindi comprensibile, addirittura fisiologico, che in democrazia vi sia una reazione più o meno palese, più o meno dura, nei confronti della giurisprudenza delle corti costituzionali quando viene ritenuta il frutto di un uso partigiano della discrezionalità interpretativa dei giudici sia da parte delle minoranze che non si sentono tutelate sia anche da parte delle maggioranze parlamentari e di governo che vedono caducate le leggi attuative del proprio programma o che vedono aumentare le spese cui far fronte. 

Naturalmente tutti gli stati democratici hanno predisposto meccanismi istituzionali, più o meno efficaci, per contenere i poteri discrezionali delle corti costituzionali, per favorirne il corretto funzionamento ed evitare che si sviluppino tendenze partigiane pro o contro le opposizioni o le maggioranze del momento.  Mi limito a ricordarne tre:  la prima è che la designazione dei giudici costituzionali, proprio per il grande rilievo politico delle loro decisioni, avviene in tutto o in buona parte ad opera di istituzioni democraticamente elette (dei 15 componenti della nostra Corte Costituzionale, 5 sono eletti Parlamento e 5 sono nominati dal Presidente della Repubblica; gli altri 5 sono, invece, eletti dalle magistrature di carriera);  la seconda è che i meccanismi di nomina dei giudici prevedono procedure più o meno efficaci per far sì che nelle corti siano presenti giudici con orientamenti ideali diversificati (ad esempio, per assicurare che tra i 5 giudici costituzionali designati dal Parlamento siano compresi anche giudici voluti dalla minoranza, la nostra Costituzione richiede, per la loro elezione, un elevato quorum di voti); la terza è costituita dai meccanismi intesi a stimolare l’autocontrollo dei giudici costituzionali, è cioè a stimolare in loro un equilibrato e contenuto esercizio del loro potere discrezionale.  A sottolineare l’importanza di questo aspetto vale ricordare il monito che il giudice Stone, uno dei più noti Presidenti della Corte Suprema degli Stati Uniti, rivolgeva ai suoi colleghi quando ricordava loro che a differenza delle altre branche del governo, tutte soggette al controllo di legittimità da parte dei giudici, “l’unico controllo sul nostro esercizio del potere è costituito dal nostro senso di autocontrollo (self restraint)”.  Sotto tutti e tre questi profili la nostra Corte costituzionale è quella che offre, a paragone di altre, minori garanzie. 

In primo luogo perché le norme che regolano le nomine dei giudici consentono il formarsi di vistosi squilibri nella composizione della Corte.  Attualmente tutti e cinque i giudici costituzionali di nomina presidenziale sono stati scelti tra persone che tutte appartengono all’area del centro sinistra (Zagrebelsky, Contri, Neppi Modona, Capotosti, Flick).  In nessun altro paese a democrazia consolidata è consentito che un singolo soggetto -per autorevole che sia- possa compiere una scelta tanto importante in piena discrezionalità e senza alcun controllo.  Non nei paesi dell’Europa continentale quali Germania, Spagna e Portogallo.  Non nei pesi dell’area anglosassone (persino i candidati scelti dal Presidente degli Stati Uniti devono essere confermati da un voto favorevole del Senato secondo procedure che si sono venute facendo sempre più stringenti). 

In secondo luogo perché non esistono da noi quegli stimoli istituzionali all’autocontrollo, al self restraint, che sono presenti nelle altre corti costituzionali. Mi riferisco in particolare all’istituto delle opinioni dissenzienti con il quale si consente ai giudici che rimangono in minoranza di motivare il loro dissenso e di fornire circostanziate e diverse interpretazioni delle norme costituzionali.  E’ un istituto previsto sia in tutte le corti dei paesi di tradizione anglosassone sia nei paesi dell’Europa quali la Germania e la Spagna.  Rende palese a tutti, dall’interno stesso della corte, la plausibilità di interpretazioni diverse e alternative dei dettati costituzionali e rende evidenti gli eventuali eccessi di discrezionalità presenti nelle decisioni prese a maggioranza. La prospettiva stessa di vedere efficacemente e ufficialmente criticate le proprie scelte interpretative da altri giudici della stessa corte, induce tutti ad un autocontrollo nell’uso della discrezionalità interpretativa di cui dispongono.

Va subito aggiunto che il voto dissenziente non è vietato dalla nostra Costituzione.  Potrebbe essere introdotto anche da noi solo che la maggioranza dei giudici della nostra Corte Costituzionale lo volesse.  Non lo ha mai voluto.  Preferiscono nascondersi dietro l’anonimato di decisioni giudiziarie che all’esterno appaiono unanimi anche quando non lo sono.  Nella maggioranza di loro è sempre prevalsa, a differenza dei loro colleghi di altri paesi democratici, la volontà di non assumersi personalmente e palesemente la responsabilità delle proprie decisioni.  Non è cosa molto rassicurante in democrazia che persone investite di poteri discrezionali politicamente tanto rilevanti possano e vogliano esercitarlo senza assumersene la personale responsabilità.

Avendo di necessità trattato di argomenti complessi in termini generali mi sembra opportuno aggiungere alcune postille.

La prima.  Le opinioni dissenzienti non servono solo a stimolare l’autocontrollo.  Mettomo in evidenza non solo i personali orientamenti interpretativi dei singoli giudici ma anche le loro capacità professionali.  E’ una fortissima remora a proporre e scegliere candidati non sufficientemente qualificati.  E’ una remora che da noi non esiste.  Mi spiego con un esempio che traggo dal mio diario di ricerca di tanti anni fa..  Nel 1972 il Parlamento doveva eleggere un giudice costituzionale in quota al Partito Socialista, che per l’occasione indicò Lelio Basso.  Questi non raggiunse mai, nelle varie votazioni che seguirono, il quorum di voti necessari all’elezione.  Contro la sua elezione scesero  in campo dirigenti democristiani di grande calibro (se ben ricordo lo stesso Andreotti).  Non me ne sapevo fare una ragione.  Quando le votazioni erano ancora in corso chiesi lumi ad un giudice costituzionale in carica che anni addietro era stato eletto dal Parlamento su indicazione della D.C.  Considerò con molta indulgenza la mia ingenuità.  Nella sostanza mi disse che per quanto lui fosse “solo una avvocato di provincia”, era tuttavia uno dei quattro o cinque giudici che “contava”, anche a causa delle non eccelse capacità professionali e di carattere di vari colleghi.  L’opposizione all’elezione di Lelio Basso -mi spiegò-  non aveva niente a che fare con il fatto che egli professava idee di sinistra molto marcate.  Dipendeva invece dal fatto che, essendo egli dotato di preparazione e carattere considerevoli, arrivando in Corte avrebbe “contato non per uno ma bensì per quattro”.  Bonariamente concluse dicendomi “i socialisti indichino pure un candidato ancora più a sinistra di Basso ma lo scelgano in modo tale che nell’ambito di questa Corte conti solo per uno”.

Seconda postilla.  Il Ministro della Giustizia Fassino ritiene “inquietante” la prospettiva di un governo Berlusconi perché questi esprime le sue critiche senza tener conto del fatto che struttura e funzioni della Corte Costituzionale sono fissate dalla stessa Costituzione.  Secondo Fassino, quindi, sarebbe irrilevante la scelta delle persone a patto che i requisiti professionali formalmente richiesti e le procedure di nomina seguite siano quelle fissate dalla costituzione.  Da ex dirigente del Partito Comunista ci dovrebbe allora spiegare se quando il suo ex partito volle che fossero eletti alla Corte suoi dirigenti del calibro di Malagugini e Spagnoli (quest’ultimo era stato anche membro del Comitato centrale del partito) li aveva scelti solo per le loro alte qualificazioni giuridiche oppure anche perché avrebbero potuto portare nella giurisprudenza della Corte gli orientamenti interpretativi più consoni alle loro idee politiche.

Terza ed ultima postilla.  Il presidente Scalfaro ha nominato quattro giudici costituzionali scegliendoli tutti nell’area di Centrosinistra.  Quando il Presidente Ciampi nominò alla Corte il Prof. Flick, ex ministro della Giustizia di centrosinistra, ebbi molte difficoltà a far pubblicare un articolo in cui lamentavo che avesse fatto questa scelta, e non avesse invece colto l’occasione per riequilibrare, seppur parzialmente le scelte fatte dal suo predecessore.  Mi meravigliavo che ciò fosse avvenuto e mi domandavo perché questa scelta non gli fosse stata sconsigliata dai suoi consulenti.  Mi domandai anche se i responsabili della giustizia del Polo delle Libertà si fossero attivati segnalando informalmente al Presidente Ciampi l’esigenza di provvedere ad un parziale riequilibrio nelle nomine dei giudici della Corte.  Se, per inesperienza o altro non l’hanno fatto allora sono anche loro responsabili dell’accaduto.  Il funzionamento delle istituzioni dipende infatti anche dalla capacità di attivare meccanismi informali di controllo.  In passato le nomine presidenziali venivano seguite con attenzione dai diversi schieramenti politici, anche e soprattutto da quelli dell’opposizione.  Se l’ex Presidente Cossiga volesse forse potrebbe, io credo, ricordare  la meticolosa solerzia con cui esponenti dell’ex partito comunista gli segnalarono le loro aspettative per una delle nomine che lui fece.

 

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