Magistrati del ministro? In teoria sì, ma dipendono dal CSM
Il Messaggero, 20 ottobre 2001
Nelle corso delle ultime due settimane i rapporti tra Ministro della giustizia e magistrati hanno vissuto ripetuti momenti di una conflittualità che non è ancora sopita. Alla radice delle tensioni in atto vi è una disciplina del rapporto tra ministro e magistrati ministeriali che dal punto di vista organizzativo rasenta l’assurdo e che non ha eguali negli altri paesi democratici. Prima di parlarne ricordo i fatti come riferiti dalla stampa.
Il 3 ottobre scorso, durante la discussine su una legge riguardate le rogatorie, un senatore della minoranza ha esibito e citato il parere che i magistrati dell’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia avevano preparato per il loro Ministro. Era un parere in cui, con argomenti simili a quelli della minoranza parlamentare, i magistrati del Ministero criticavano pesantemente la nuova disciplina delle rogatorie che era invece voluta dalla maggioranza e dal loro stesso Ministro. Di qui, secondo i commenti riportati dalla stampa, la decisione del Ministro di allontanare dal suo Dicastero i 5 magistrati autori del parere e farli tornare a svolgere funzioni giudiziarie. Pesanti le critiche a questa sua decisione.
Alcuni magistrati del CSM, come Spataro e Rossi, hanno reso allarmate dichiarazioni secondo cui l’iniziativa del Ministro rappresenterebbe una pericolosa minaccia per l’indipendenza della magistratura. Ha fatto loro eco il presidente dell’Associazione magistrati (ANM) secondo cui i magistrati del Ministero della giustizia debbono svolgere le loro funzioni “in condizioni di assoluta indipendenza”. Il PG di Milano Borrelli parla “di abbattimento gerarchico del dissenso all’interno del Ministero”. Commenti dello stesso tenore di quelli dei magistrati sono stati espressi da esponenti dei partiti di opposizione. Nel frattempo altri 4 magistrati ministeriali hanno reso pubblica la loro decisione di lasciare il Ministero per solidarietà coi colleghi allontanati dal Ministro. Tutti i magistrati che hanno lasciato il Ministero sono stati subito convocati al CSM ed ascoltati a porte chiuse, dalle quali tuttavia è trapelata la solidarietà e l’apprezzamento manifestato nei loro confronti. Il segretario di Magistratura Democratica ha dichiarato che ormai “al Ministero possono lavorare solo yes man che si adeguano alla volontà del governo”. L’ultima notizia è che 16 magistrati, tra i tantissimi che ancora prestano servizio presso il Minitero, hanno scritto un lettera al Ministro Castelli, di cui hanno subito spedito copia anche al CSM, in cui esprimono la loro preoccupazione “di vedere progressivamente ridotti gli spazi professionali dei magistrati al Ministero” e chiedono che sia chiarito il loro rapporto col Ministro.
Nessun giornale ha tentato di dare una spiegazione di questi eventi, solo cronistoria e commenti espressi da magistrati e politici. Nessuno ha cercato di spiegare cioè se siano i magistrati che hanno una visione distorta del loro ruolo al Ministero oppure se sia il Ministro che abusa dei propri poteri. Di spiegare inoltre perchè episodi di questo genere non siano mai capitati, né potrebbero capitare, in altri paesi europei.
La legge prevede che i magistrati possono essere destinati al Ministero della giustizia solo se vi sia il gradimento del Ministro e non possono restarvi quando tale gradimento viene meno. Ciò sembrerebbe attribuire al Ministro grandi poteri ed una grande influenza sui comportamenti dei magistrati del suo Dicastero. Non è così per una serie di ragioni che si rafforzano a vicenda e che vanno dalla peculiare disciplina del rapporto tra ministro e magistrati ministeriali alle modalità con cui sono state interpretate ed applicate nel corso del tempo.
A differenza dei Ministri della giustizia degli altri paesi europei in cui lavorano magistrati, il nostro Ministro non ha alcun potere decisionale per quanto concerne la valutazione dei comportamenti dei magistrati che da lui dipendono, né per gratificarli nè per sanzionarli. In Italia, e solo in Italia, le promozioni, le sanzioni, le future assegnazioni di sedi e funzioni gradite spettano esclusivamente al CSM anche per i magistrati che lavorano al Ministero della giustizia. Viene con ciò stesso sottratto al nostro Ministro della giustizia uno degli strumenti fondamentali dell’assetto organizzativo che fa capo ai ministri della giustizia degli altri paesi democratici e su cui poggia in maniera rilevante la stessa capacità del Ministro di formulare e perseguire autonomamente le iniziative da prendere e quindi di sollecitare ed ottenere dai suoi dipendenti comportamenti conformi alle politiche che vuole perseguire e per le quali formalmente assume la responsabilità politica.
Il secondo peculiare aspetto è costituito dal fatto che i magistrati detengono tutte le posizioni direttive del Ministero. Fino ad alcuni anni fa ciò era imposto dalla legge ed ha sempre costretto il Ministro ad attribuire ai magistrati anche responsabilità gestionali per cui non avevano alcuna competenza (nel campo dell’edilizia, delle carceri, della modernizzazione tecnologica degli uffici, ecc.). Recenti leggi consentirebbero al Ministro di attribuire funzioni direttive anche a personale diverso dai magistrati. Per ragioni che sarebbe troppo lungo qui ricordare non è tuttavia possibile che la sostituzione dei magistrati con altro personale possa essere effettuata, se non in misura molto ridotta, nel breve/medio periodo. Di qui una situazione organizzativa paradossale ed altamente disfunzionale che non ha eguali in nessuna altra organizzazione di cui si abbia conoscenza e che fa del Guardasigilli un ministro a “sovranità molto limitata”. Da un canto il Ministro della giustizia è costretto a dipendere interamente, sotto il profilo progettuale ed operativo, dalla collaborazione dei magistrati ministeriali. Dall’altro non ha nessuno dei poteri che nelle organizzazioni servono ad indirizzare e responsabilizzare i magistrati da lui dipendenti: quei poteri sono riservati alla esclusiva competena di un altro organo e cioè del CSM. Si hanno gli stessi effetti che si avrebbero in una qualsiasi altra organizzazione in cui le decisioni sulle promozioni, gli aumenti salariali, la disciplina fossero sottratti ai responsabili dell’organizzazione stessa ed assegnati in via esclusiva ad un organismo esterno composto in assoluta prevalenza dalle rappresentanze sindacali di tutto il personale (20 dei 33 componenti del CSM sono, infatti, eletti da tutto il personale della magistratura in rappresentanza delle varie correnti del loro sindacato, cioè l’ANM). In una tale situazione è solo normale che i magistrati ministeriali siano molto più attenti a soddisfare le aspettative del CSM e del loro sindacato piuttosto che quelle del loro Ministro tutte le volte in cui vi sia una reale o potenziale diversificazione di orientamenti tra i due organi. Le rare occasioni in cui i magistrati ministeriali hanno collaborato col Ministro in contrasto con le aspettative del CSM e dell’ANM sono stati severamente puniti. Il caso più eclatante e più visibile, ma non il solo, si è avuto con la bocciatura di Giovanni Falcone per il posto di Procuratore Nazionale Antimafia da parte della Commissione per gli incarichi direttivi del CSM. Come direttore generale degli affari penali del Ministero della giustizia aveva collaborato col Ministro Martelli nella predisposizione di una normativa per il coordinamento delle attività del pubblico ministero che era fortemente avversata dalla ANM e dai suoi rappresentanti al CSM. Doveva essere punito. Che Falcone fosse il più qualificato a contrastare i fenomeni mafiosi era questione del tutto irrilevante.
Stando così le cose riesce ancor più difficile capire perché i magistrati considerino pericoloso per l’indsipendenza della magistratura persino un limitato atto di autonomia quale quello compiuto dal Ministro nell’allontanare quei 5 magistrati dal Ministero. La ragione c’è e ce ne occuperemo in un prossimo articolo.
Che debbano esistere forti limiti alla collaborazione che i magistrati del Ministero della giustizia possono fornire al loro Ministro è stato più volte teorizzato dai rappresentanti della magistratura organizzata. Mi limito a citare dal testo della relazione conclusiva di una commissione di studio dell’ANM (uno dei due estensori di questa relazione, Ernesto Lupo, è stato, in diversi momenti, Direttore generale del Ministero e Capo di gabinetto del Ministro). In essa si afferma che la presenza dei magistrati al Ministero della giustizia è necessaria ed irrinunziabile perché “innanzi tutto essa è volta ad attenuare i pericoli che la funzione servente nei confronti del funzionamento della giustizia -costituzionalmente attribuita al potere esecutivo- si trasformi, nel concreto esercizio, in un condizionamento del potere giudiziario ed in una conseguente violazione del fondamentale principio dell’indipendenza della magistratura”. In altre parole la funzione primaria dei magistrati del Ministero della giustizia sarebbe quella di sorvegliare il Ministro per evitare che le sue iniziative possano ledere l’indipendenza della magistratura così come di volta in volta definita dall’ANM e dai suoi rappresentanti al CSM. Per rendere più attenta la verifica ed il controllo dell’operato del Ministro ed evitare violazioni dell’indipendenza ed attenuazioni dei loro poteri, negli ultimi decenni si sono fatti destinare al Ministero alcuni dei maggiori leaders dell’ANM e numerosi magistrati ex componenti del CSM.
La sommaria descrizione che abbiamo fatto dell’anomalo rapporto che in Italia esiste tra il Ministro della giustizia ed magistrati ministeriali e dell’altrettanto anomala percezione che i magistrati italiani hanno del loro ruolo al Ministero, ci consente ora di trarre alcune conclusioni.
1) Non esistono né possono esistere iniziative del Ministro o documenti elaborati nel suo Dicastero che possano rimanere riservati quando i magistrati ritengono che essi in una qualsiasi misura potrebbero ledere l’indipendenza della magistratura o i suoi interessi corporativi (per i magistrati le due cose sono largamente coincidenti). Nei trenta anni che vanno dalla seconda metà degli anni ’60 alla prima metà degli anni ’90 ho ripetutamente trascorso prolungati periodi presso il Ministero della giustizia per svolgervi attività di ricerca, consulenza a ministri e sottosegretari, lavori di commissione. Sono stato ricorrentemente testimone dell’ansiosa preoccupazione dei magistrati del Ministero quando si sospetta una loro attiva collaborazione alla elaborazione di iniziative del Ministro sgradite alla magistratura organizzata ed ai suoi rappresentanti al CSM. Informazioni e documenti relativi ad iniziative sgradite sono sempre stati veicolati con grande immediatezza in qualsiasi sede ove si potesse promuovere una azione di contrasto (tra i magistrati parlamentari delle commissioni giustizia, tra i politici “vicini” alla magistratura associata, negli organi associativi, ecc.). Particolarmente attivi nel creare questi “corti circuiti” e nel generare le azioni di contrasto sono sempre stati i magistrati ministeriali che hanno a lungo coltivato legami con l’esterno e cioè quelli con una prolungata attività sindacale nell’ANM e gli ex componenti del CSM.
2) I magistrati del Ministero che di volta in volta si attivano per far pervenire all’esterno informazioni su iniziative ministeriali che ritengono lesive dell’indipendenza con l’intento di vanificarle non ritengono di commettere un atto scorretto ma di svologere un compito che è proprio dei magistrati ministeriali. Questa credenza non si basa solo su una irrealistica quanto errata percezione di ruolo, non si basa solo su una prassi consolidata contro la quale nessun Ministro si è sinora attivato. Trova fondamento anche e soprattutto nel fatto che al nostro Ministro della giustizia, a differenza di quanto avviene in altri paesi, siano formalmente sottratte tutte le decisioni relative alla valutazione dei comportamenti dei magistrati che detengono tutte le posizioni direttive del suo Dicastero.
3) Si può così anche comprendere meglio il significato, altrimenti incomprensibile, delle reazioni all’allontanamento dei 5 magistrati dal Ministero e del perché autorevoli magistrati abbiano parlato di una minaccia per l’indipendenza della magistratura. Si capisce anche la loro preoccupazione che il Ministro da ora in poi pretenda dai magistrati ministeriali comportamenti di piena ed esclusiva lealtà nei suoi confronti, così come avviene nei Ministeri della giustizia degli altri paesi europei. Si capisce infine la preoccupazione dei moltissimi magistrati ancora presenti al Ministero. Se dovessero adottare comportamenti di piena ed esclusiva lealtà al Ministro si troverebbero nella difficile e pericolosa situazione di essere considerati degli yes man (come ha detto l’esponente di Magistratura Democratica che abbiamo dianzi citato) con tutte le conseguenze che questo porebbe avere sulle furture decisioni che il CSM nei loro riguardi.
Due postille.
La prima. Non è organizzativamente possibile che nel breve/medio periodo il ruolo dei magistrati al Ministero della giustizia possa essere sostanzialmente modificato. Non è, infatti, facile sostituire con rapidità i magistrati con altro personale. Chi volesse anche per questa via ristabilire nel nostro Paese efficaci pesi e contrappesi istituzionali simili a quelli di altri paesi democratici nel settore della giustizia dovrebbe di necessità programmare anche interventi di breve/medio/lungo periodo per la formazione delle necessarie competenze sia all’interno che all’esterno del Ministero (piani utili a questo fine erano stati inutilmente formulati all’inizio degli anni ‘90 quando Giovanni Falcone era Direttore generale presso il Ministero della Giustizia).
La seconda postilla. Il Ministro della giustizia ha negato che esista un collegamento tra l’allontanamento dei 5 magistrati e l’approdo in Parlamento del loro parere sulle rogatorie. Nessuno sembra credergli. Non so come stiano le cose. Posso però dire che se fosse vero ed il Ministro lo amettesse sarebbe un autolesionista. Dovrebbe infatti iniziare un procedimento disciplinare pur non avendo i poteri dei suoi colleghi degli altri paesi democratici (al Ministro della giustizia francese, ad esempio, spetta l’ultima parola sulle sanzioni disciplinari dei magistrati ministeriali). Dovrebbe cioè affidare il giudizio al CSM dopo che l’ANM ha già manifestato la sua piena solidarietà a quei cinque magistrati ed una forte critica nei suoi confronti. Quel giudizio finirebbe per trasformare proprio il Ministro da accusatore in accusato.