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Giustizia obsoleta, processi senza fine

23 dicembre 2001

Il Messaggero, 23 dicembre 2001

L’accresciuto rilievo della funzione giudiziaria in tutti i paesi democratici ha generato negli ultimi decenni un forte aumento dei carichi di lavoro.  La maggiore quantità e complessità del lavoro giudiziario ha prodotto a sua volta, seppure in misura diversa da paese a paese, anche un incremento nei tempi della giustizia.  Come è ormai noto l’Italia ha in Europa il triste primato dei maggiori ritardi: i procedimenti che durano più di 10 anni tendono ad essere più la regola che l’eccezione.  Per questo l’Italia ha ricevuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo più condanne di quante ne hanno avute tutti gli altri paesi dell’Unione Europea messi assieme. 

E’ ormai esperienza comune a tutti i paesi democratici che l’aumento delle risorse umane e materiali della giustizia, le depenalizzazioni, lo snellimento delle procedure, le corti a giurisdizione limitata con giudici “laici”, i sistemi alternativi di risoluzione delle controversie (arbitrati, mediazioni, patteggiamenti, ecc.) non possono essere di per sé in grado di fornire efficaci soluzioni.. La modernizzazione organizzativa e tecnologica degli apparati giudiziari è, a ragione, ritenuta essenziale per affrontare con successo il problema dei tempi della giustizia.  E’ un percorso intrapreso con maggiore o minore successo da tutti gli stati democratici.  Il nostro paese non è certo tra quelli che possono vantare buoni risultati.

Di recente è stata pubblicata una ricerca sulle caratteristiche e sulla utilizzazione delle tecnologie informatiche e telematiche negli uffici giudiziari dei paesi della Unione Europea e della Norvegia (a cura di M. Fabri e F. Contini, Justice and Technology in Europe: How ICT is Changing the Judicial Business, Kluwer Law Int.).  E’ una ricerca finanziata dalla stessa U.E. e condotta dall’Istituto sui Sistemi Giudiziari del CNR con la collaborazione di studiosi, tecnici e rappresentanti dei Ministeri della giustizia dei vari paesi.  Tra i molti aspetti di interesse ve ne è uno, molto preoccupante, che ci riguarda.  L’Italia risulta essere in assoluto il paese che spende di più per le tecnologie del suo sistema giudiziario ed è allo stesso tempo uno di quelli che le utilizza con minore efficacia.  Per giunta, se si guarda alla capacità progettuale dei vari Ministeri della giustizia in questo settore si nota che il nostro Ministero della giustizia non è certamente meno attrezzato e qualificato di quello degli altri Paesi Le difficoltà derivano quindi da forti carenze nella gestione dell’innovazione. 

Non v’è dubbio che la piena e sollecita utilizzazione delle moderne tecnologie incontri difficoltà e resistenze anche in altre organizzazioni complesse a causa dei cambiamenti che essa comporta e che riguardano, tra l’altro, la modifica di consolidate abitudini di lavoro, l’acquisizione in varia misura di nuove conoscenze da parte di tutti, o quasi tutti, i componenti drell’organizzazione (il che di necessità richiede notevoli investimenti nella formazione del personale in servizio), la utilizzazione di nuove professionalità cui affidare compiti e decisioni prima esercitati da altri (il che vuol dire che in una certa misura è necessario ristrutturare anche la distribuzione dei poteri decisionali all’interno dell’organizzazione).   Queste innovazioni incontrano difficoltà molto maggiori nell’ambito degli uffici giudiziari di quanto non avvenga in altre organizzazioni soprattutto a causa di una malintesa concezione dell’indipendenza della magistratura.  Mi limito a considerare solo i problemi della formazione e dell’utilizzazione di personale specializzato all’interno degli uffici giudiziari. 

Mentre in altre organizzazioni la formazione può essere governata unitariamente, nell’amministrazione della giustizia la formazione iniziale e continua del personale dei magistrati e del personale tecnico-amministrativo che congiuntamente lavorano negli uffici giudiziari è attualmente diviso tra Consiglio Superiore della Magistratura, che  si è autoattribuito in via esclusiva tale compito, e dal Ministero della giustizia cui compete la formazione del personale amministrativo e tecnico.  Per ottenere interveneti formativi coordinati e specificamente mirati anche a favorire la modernizzazione organizzativa e tecnologica degli uffici giudiziari sarebbe invece necessario creare finalmente anche in Italia una scuola che disponga di una struttura permanente e di un corpo docente pluridisciplinare relativamente stabile in grado da dare carattere unitario agli interventi formativi e di verificarne con continuità l’efficacia. 

Non meno importanti sono le innovazioni da introdurre nelle strutture decisionali degli uffici giudiziari.  Da sempre il potere decisionale si concentra tutto nelle mani dei capi degli uffici che sono magistrati.  Nulla nella loro preparazione professionale garantisce specifiche capacità manageriali, essendo la loro formazione essenzialmente giuridica, mentre la complessità gestionale, soprattutto nei grandi uffici, è molto elevata (si pensi a tribunali quali quelli di Roma, Milano, Napoli ove si tratta di coordinare e controllare il regolare funzionamento di un apparato che conta intorno alle 2000 unità di personale giudiziario e non).  E’ un problema che gli stessi magistrati ormai riconoscono.  Per giunta nella nomina dei capi degli uffici da parte del CSM si inseriscono anche, in maniera determinante, elementi di valutazione spuri quali l’anzianità di servizio e la lottizzazione dei posti direttivi tra le varie correnti della magistratura.  Con questo non si vuol certamente dire che ai magistrati dovrebbe essere sottratta la dirigenza degli uffici giudiziari, che questo si rifletterebbe negativamente sulle garanzie di indipendenza.  E’ ben lungi dal voler dire che non bisognerebbe promuovere una cultura gestionale anche nei magistrati che sono a capo degli uffici.  Vuol solo dire che per dar vita ad una efficiente gestione degli uffici giudiziari e garantire la loro modernizzazione organizzativa e tecnologica è necessario utilizzare personale con competenze specialistiche cui si debbono riconoscere formalmente, come in altri paesi, poteri decisionali autonomi che possono essere disattesi dai magistrati dirigenti solo sulla base di adeguate motivazioni.  Altrimenti anche i consistenti investimenti che si fanno nel settore delle tecnologie e reclutando analisti d’organizzazione, tecnici informatici e statistici continueranno ad essere scarsamente efficaci.  Come sta già avvenendo, i tecnici più competenti si troveranno sempre più di fronte all’alternativa di cercare lavoro altrove oppure di sopravvivere stancamente all’interno dell’organizzazione, demotivati e senza poter dare quel contributo alla modernizzazione degli uffici giudiziari che da essi ci si attende e per cui sono stati reclutati.

 

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