Il CSM non garantisce la “qualità” di giudici e p.m.
Il Messaggero, 9 febbraio 2002
L’assenza dei controlli sulla professionalità dei nostri magistrati da parte del CSM non solo è una delle cause della crisi della nostra giustizia ma ha effetti negativi anche sulla stessa indipendenza dei magistrati. Lo affermava Giovanni Falcone in una conferenza tenuta a Milano nel novembre 1988. Dell’argomento si è occupato giorni fà un convegno internazionale, promosso dal senatore Ortensio Zecchino. Uno studioso francese, Roger Errera, ed uno spagnolo, Juan Lopez Aguilar, hanno illustrato la struttura e il funzionamento dei CSM dei loro paesi; lo stesso ho fatto io per quello italiano (la Costituzione di tutti e tre i paesi attribuisce espressamente ai CSM le valutazioni di professionalità e le promozioni dei giudici, solo da noi svolge questo compito anche per i pubblici ministeri). Vi è poi stata una tavola rotonda in cui politici e magistrati italiani di diverse tendenze sono stati chiamati a discutere le relazioni nella prospettiva di eventuali riforme riguardanti la composizione e la legge elettorale del nostro CSM.
Tutte e tre le relazioni hanno ricordato che il ruolo dei giudici è oggi molto più rilevante per il cittadino e per la società di quanto fosse in passato e che il loro lavoro è divenuto progressivamente sempre più complesso e difficile. Che di conseguenza è venuta a crescere anche l’esigenza di garantire una elevata preparazione professionale dei giudici. I relatori francese e spagnolo hanno quindi indicato in dettaglio le modalità con cui nei rispettivi paesi vengono effettuati i controlli sulla professionalità dei giudici e le loro valutazioni ai fini delle promozioni..
Nella relazione sul CSM italiano, basata sull’analisi delle valutazioni riguardanti la professionalità e le promozioni negli ultimi 50 anni ho evidenziato che:
a) a partire dalla seconda metà degli anni ’60, il CSM ha smesso di effettuare reali valutazioni dei magistrati ai fini della carriera nonostante le leggi espressamente lo prevedano. Promuove tutti sulla base delle minime anzianità di servizio previste per il passaggio da un grado all’altro della carriera. Dopo 28 anni tutti pervengono al grado più alto. Le uniche eccezioni sono costituite da magistrati che hanno gravi procedimenti disciplinari o penali. La maggior parte di questo sparuto gruppo finisce poi per essere comunque promossa fino al vertice, seppure con alcuni anni di ritardo. Così mentre fino agli anni ’60 i magistrati al vertice della carriera erano meno di 100 ora sono più di 2500.
b) Il CSM ha promosso anche magistrati che da molti anni non esercitano funzioni giudiziarie. Nella frenesia di promuovere proprio tutti non si è arrestato neppure di fronte ad un divieto previsto dall’articolo 98 della Costituzione secondo il quale non possono essere promossi per merito i “pubblici impiegati” che sono parlamentari. Fino al 1970 il CSM aveva ritenuto che questa norma costituzionale fosse vincolante anche per i magistrati parlamentari. A partire da quell’anno decise che per promuoverli non fosse necessaria una riforma costituzionale. Siccome quella norma riguardava i “pubblici dipendenti”, era sufficiente cambiare il precedente orientamento del CSM ed affermare che i magistrati non erano “pubblici dipendenti”. Il CSM poté così subito promuovere per “meriti giudiziari” fino ai vertici della carriera, anche retroattivamente, magistrati parlamentari che non svolgevano funzioni giudiziarie da oltre 25 anni (come Oscar Luigi Scalfaro e Brunetto Bucciarelli Ducci).
c) Negli altri stati europei con magistrature simili alla nostra, come Francia e Spagna, esistono severi, ricorrenti vagli di professionalità e le promozioni vengono effettuate limitatamente ai posti che annualmente si rendono disponibili ai livelli superiori della giurisdizione. Da noi invece, a partire dagli anni ’60, dopo un esame iniziale di scarsissima attendibilità selettiva che recluta giovani laureati in giurisprudenza senza precedenti esperienze professionali, i magistrati rimangono in carriera per 40/45 anni senza che su essi venga più effettuata alcuna sostantiva valutazione della professionalità.
d) Il venir meno degli accertamenti e verifiche della professionalità per l’intero arco della lunga vita lavorativa dei magistrati ha poi generato da noi una pluralità di conseguenze disfunzionali aggiuntive. Tra l’altro si ripercuote negativamente sull’indipendenza per almeno due ragioni. In primo luogo perché è ben noto che chi ha una elevata competenza professionale è molto meno soggetto a subire indebite influenze. In secondo luogo perché i magistrati, avendo comunque la certezza di ottenere le promozioni per meriti giudiziari, anche nel caso svolgano funzioni giudiziarie per molti anni, si sono progressivamente orientati a ricercare ed ottenere dall’esterno incarichi extragiudiziari. L’erosione dello stesso confine tra magistratura e classe politica è reso evidente dal numero elevato dei magistrati eletti o nominati a ruoli di responsabilità politica in rappresentanza di partiti politici (sindaci e assessori, presidenti di regione, ministri, e sottosegretari di Stato, membri delle assemblee rappresentative locali, regionali, componenti del parlamento italiano ed europeo, ecc.).
Tra le conclusioni della relazione al convegno due emergono già con tutta chiarezza da quanto sin qui detto. A differenza dei CSM degli altri paesi il nostro CSM è venuto meno ad uno dei compiti fondamentali che gli è stato esplicitamente assegnato dalla nostra Costituzione e cioè quello di garantire ai cittadini le qualificazioni professionali dei giudici e pubblici ministeri. Ha inoltre interpretato le leggi che ancor oggi prevedono le valutazioni ai fini della carriera in modo che va al di là del più spinto lassismo pere divenire puro e semplice rifiuto di dare ad esse applicazione. Stando così le cose non possono certo destar meraviglia le frequenti carenze di professionalità dei nostri magistrati, di cui parlava Falcone. Deve piuttosto destare sorpresa e ammirazione la presenza, ancora numerosa, di magistrati che, pur in assenza di efficaci stimoli istituzionali, ha trovato nel proprio lavoro le motivazioni per coltivare e raggiungere elevati livelli di professionalità.
Né i politici (Giuseppe Gargani e Luciano Violante) né i magistrati (Francesco Pintus e Piero Vigna) che hanno successivamente preso la parola nella tavola rotonda hanno espresso critiche o sollevato obiezioni alla relazione sul CSM italiano ed alle conclusioni dianzi indicate. Quali i loro commenti e le loro proposte di riforma? Quali le ragioni che hanno portato il nostro CSM ad operare in maniera tanto differente da quelle degli altri CSM europei? Di questo ci occuperemmo in un prossimo articolo.