Il Parlamentino non verifica più la professionalità dei magistrati
Il Messaggero, 14 febbraio 2002
La nostra Costituzione affida al Csm il compito di garantire ai cittadini che i loro giudici e pm abbiano le necessarie competenze tecniche e capacità professionali. Ciononostante il nostro Csm, a differenza di quelli di altri paesi, non assolve più a questo essenziale e delicatissimo compito da oltre 30 anni. E’ una disfunzione che è emersa con tutta evidenza nel corso di un convegno internazionale cui hanno partecipato anche studiosi francesi e spagnoli, e di cui mi sono già occupato in un precedente articolo. A differenza dei loro colleghi francesi e spagnoli i nostri magistrati rimangono, quindi, in servizio per 40/45 anni e vengono promossi fino ai massimi livelli della carriera senza che il Csm effettui, come dovrebbe, alcuna sostanziale verifica della loro professionalità. Perché da noi l’interesse del cittadino ad avere giudici e pubblici ministeri professionalmente qualificati è stato così pienamente sacrificato agli interessi corporativi dei magistrati? Quali le cause del differente comportamento del nostro Csm rispetto a quello di altri paesi democratici? In parte dipende, come può vedersi dalla tabella pubblicata qui accanto, dalla diversa struttura del nostro CSM e dal fatto che la rappresentanza elettiva dei nostri magistrati sia nettamente superiore a quella fissata dagli altri paesi (da noi 20 su 33, in Francia 6 su 12, in Spagna i rappresentanti dei magistrati vengono tutti eletti dal Parlamento). Tuttavia due altri elementi assumono un cruciale rilievo nel differenziare il nostro Csm dagli altri:
a) a partire dalla seconda metà degli anni ’60 solo i magistrati italiani hanno ottenuto di poter essere promossi in eccedenza dei posti che annualmente si rendono disponibili ai livelli superiori della giurisdizione;
b) fino al 1968 i magistrati delle giurisdizioni superiori (cioè quelli di appello e cassazione), pur essendo allora in numero molto limitato, eleggevano nel loro ambito 10 dei 14 componenti elettivi del Csm. Solo 4 venivano eletti dai magistrati di grado inferiore che costituivano il 68% dell’intera magistratura. A partire dal 1968 l’elettorato attivo è stato unificato ed i magistrati delle giurisdizioni superiori per essere eletti sono stati costretti a cercare il consenso dei magistrati molto più numerosi dei livelli più bassi della carriera. Nel l967 l’Associazione Magistrati invitò a votare solo per i magistrati delle giurisdizioni superiori che si impegnavano a non effettuare valutazioni sostantive ai fini delle promozioni. Così è stato, e da allora sono di fatto cessate le valutazioni di merito.
Al convegno in cui sono state presentate le relazioni su questo ed altri aspetti dei Csm di paesi europei hanno partecipato politici e magistrati cui era stato chiesto di esprimere commenti e formulare, se del caso, proposte di riforma. Nessuno ha avanzato critiche o dubbi sulla relazione riguardante il Csm italiano e le degenerazioni che abbiamo succintamente indicato. Con grande sorpresa dei relatori stranieri politici e magistrati hanno parlato quasi esclusivamente d’altro, come se l’assenza di garanzie sulle qualificazioni di giudici e pubblici ministeri italiani fosse questione del tutto secondaria. L’On. Violante si è limitato a dire che quelle disfunzioni del nostro Csm sono ben note da tempo, ed ha quindi dedicato tutta la sua attenzione a criticare le riforme proposte dal Polo delle libertà, come quella sulle priorità nell’azione penale fissate dal Parlamento. Il Procuratore nazionale antimafia, Piero Vigna ha parlato d’altro e se l’è presa con chi vuole la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Giovanni Falcone riteneva che le carenze di professionalità dei nostri magistrati mortifichino la loro indipendenza e siano una delle cause della crisi della nostra giustizia. Vigna ha ritenuto che questo non meritasse la sua attenzione. Solo l’On. Giuseppe Gargani ha avanzato una proposta di riforma per ristabilire le valutazioni di professionalità, suggerendo di abolire le norme che consentono di promuovere i magistrati in numero superiore a quello dei posti vacanti nelle giurisdizioni superiori. Per il resto anche lui si è dovuto adattare a parlare prevalentemente dei temi proposti dagli altri. Ai relatori stranieri che esprimevano la loro meraviglia per il poco interesse mostrato da politici e magistrati per l’assenza di garanzie sulle qualificazioni professionali dei nostri magistrati, ho successivamente detto che neppure i giornalisti si erano occupati della questione nel riferire sul convegno. Mi hanno domandato da cosa potesse dipendere tanto disinteresse su un tema di così grande rilievo per gli utenti della giustizia. Ho detto loro che io stesso mi ponevo la stessa domanda da oltre trenta anni. Per amor di patria non ho detto loro che in Itala c’è ancora chi crede alla favoletta continuamente raccontata dall’Associazione Magistrati secondo cui il nostro Csm sarebbe considerato anche all’estero il modello più avanzato e funzionale di autogoverno della magistratura, addirittura una vera e propria fonte di invidia ed ispirazione per i governi degli altri paesi democratici.