Il nuovo CSM è già meglio del vecchio, ma le correnti restano forti
Il Messaggero, 30 marzo 2002
Due giorni fa è stata approvata la legge che modifica il sistema per la elezione dei magistrati al CSM e riduce il numero dei componenti di quell’organo da 33 a 27 (fino al 1976 erano 24). L’evento non ha ricevuto grande attenzione da parte degli organi di stampa. Tra i maggiori quotidiani solo questo giornale ha messo la notizia in prima pagina (non il Corriere della Sera e neppure La Repubblica). La ragione c’è. Non solo le innovazioni sono, tutto sommato, modeste, ma chi si è opposto ad esse non è stato in grado di motivare né in Parlamento né fuori le ragioni della sua opposizione. Le affermazioni dei magistrati, come Armando Spataro e Nello Rossi, o di parlamentari come il Senatore dei DS Gavino Angius, secondo le quali le riforme introdotte menomerebbero l’indipendenza e l’autonomia della magistratura non sono mai state accompagnate da analisi che spieghino il perché. Non vi è in questa omissione una mancanza di diligenza. Il fatto si è che neppure la più fervida immaginazione riuscirebbe a trovare un qualsiasi nesso tra una modesta diminuzione nel numero dei componenti del CSM e l’efficace tutela dell’indipendenza della magistratura. Né da tale modesta diminuzione può discendere, come si è sostenuto, una minore efficienza del CSM. E’ vero il contrario e ne abbiamo mostrato già il perché in un articolo pubblicato su questo giornale il 9 febbraio scorso. Ed a riguardo ci pare significativo che l’attuale vice presidente del CSM, il Prof. Verde, abbia nella sostanza condiviso le conclusioni di quella nostra analisi in una intervista concessa al Corriere della Sera dopo l’approvazione della legge, ove ha dichiarato che con la riduzione del numero dei componenti del CSM “..si risolvono molti problemi…il plenum guadagnerà in termini di rapidità ed efficienza”.
Se da un canto l’obiettivo del legislatore di rendere meno farraginosi i processi decisionali del CSM potrà in una qualche misura essere raggiunto con la (modesta) riduzione del numero dei suoi componenti non altrettanto si può dire per l’altro obiettivo della riforma. Quello di ottenere con la riforma del sistema per le elezioni dei membri togati del CSM una riduzione del peso delle correnti in seno al CSM ed una minore incidenza del peso degli interessi corporativi nelle decisioni. La creazione di un collegio unico nazionale per la elezione dei giudici e pubblici ministeri, la eliminazione delle liste elettorali delle varie correnti, ed una sola preferenza, renderanno certamente più difficile alle varie correnti della magistratura incanalare i voti di poco più di 8.000 elettori per ottenere comunque una propria rappresentanza nel CSM. Non tuttavia impossibile, soprattutto per le correnti di maggiore consistenza e capacità organizzativa. Ben maggiori difficoltà si sarebbero create alle correnti se invece del collegio unico nazionale si fossero creati tanti collegi uninominali per quanti sono i magistrati da eleggere. Tuttavia, a mio avviso, il maggior difetto del nuovo sistema elettorale risiede altrove, e cioè nell’aver mantenuto un elettorato attivo indifferenziato che ha come effetto quello di accentuare le spinte corporative in seno al CSM. Fino al 1968 coloro che svolgevano le funzioni magistrato di cassazione eleggevano nel proprio seno 6 rappresentanti, quelli più numerosi che svolgevano funzioni di magistrato di appello ne eleggevano 4, e quelli ancor più numerosi che svolgevano funzioni di magistrato di tribunale ne eleggevano nel proprio seno altri 4. Questo tipo di sistema di votazione per categoria, con una maggiore rappresentanza dei magistrati delle giurisdizioni superiori, caratterizza ancora la elezione dei magistrati nei CSM degli altri paesi che hanno un corpo giudiziario simile al nostro (come ad esempio in Francia). Per questa via, pur garantendo una rappresentanza dei livelli più bassi della carriera, si vuole tra l’altro assicurare che le valutazioni professionali dei giudici delle giurisdizioni inferiori vengano effettuate dai magistrati più qualificati delle giurisdizioni superiori. Da noi invece, a partire dal 1968 i magistrati delle giurisdizioni superiori per essere eletti hanno dovuto cercare il consenso di quelle inferiori ed in buona sostanza assecondare le loro aspirazioni ad una carriera facile. Cosa questa che da noi si è puntualmente verificata. Salvo rare eccezioni tutti i magistrati raggiungono l’apice della carriera dopo 28 anni di servizio, nonostante la Costituzione e le leggi ancor oggi prevedano severi vagli di professionalità per le promozioni.
Sono ben consapevole che l’assenza di effettive valutazioni di professionalità protrattasi per oltre 35 anni non garantisce più che i magistrati delle giurisdizioni superiori siano professionalmente più qualificati ad effettuare le valutazioni di professionalità di quelli che rimangono ad esercitare le funzioni nelle giurisdizioni inferiori. Tuttavia con la reintroduzione del voto per categoria si sarebbe comunque avviato un processo che col tempo avrebbe reintrodotto anche in Italia maggiori garanzie sulla professionalità dei magistrati, soprattutto se accompagnata alla abolizione del così detto “ruolo aperto” che solo nel nostro Paese consente la promozione dei magistrati delle giurisdizioni inferiori a prescindere dalla vacanze esistenti nelle giurisdizioni superiori.