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“Con l’obbligatorietà dell’azione penale addio all’eguaglianza di fronte alla legge”

1 luglio 2008

IL RIFORMISTA, 1 luglio 2008

 

La proposta del Presidente della Commissione giustizia del Senato, Filippo Berselli, di fissare criteri di priorità nella celebrazione dei processi è apparso, ad alcuni, lesivo del principio di obbligatorietà dell’azione penale.  Ciò ha riaperto il dibattito sulla opportunità di cancellare quel principio dalla Costituzione, o di regolarne l’esercizio.

Da circa 40 anni, in scritti e convegni, ho posto in evidenza come quel principio andrebbe eliminato dalla Costituzione per la semplice ragione che non è fattualmente applicabile  (troppi sono i crimini perchè possano essere tutti perseguiti efficacemente).  Ho anche sostenuto e sostengo che il suo mantenimento produce molteplici conseguenze negative per il corretto funzionamento dello stato democratico.  Molto sommariamente indico le più rilevanti.

a) L’obbligatorietà dell’azione penale vanifica il principio costituzionale dell’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge.  Poiché solo una parte dei crimini che vengono commessi possono di fatto essere perseguiti con efficacia, scelte di natura discrezionale devono comunque essere fatte nel decidere sull’iniziativa penale e sull’uso dei mezzi di indagine necessari a sostenerla. Ora tali scelte discrezionali sono di fatto lasciate alle singole procure e spesso ai singoli sostituti procuratori che le compiono con criteri tra loro diversi (molto efficacemente Giovanni Falcone definiva questo fenomeno come “una variabile impazzita del sistema”). La regolamentazione delle priorità nell’esercizio dell’azione penate e nell’uso dei mezzi di  indagine è quindi l’unico modo per tutelare il principio di eguaglianza dei cittadini, per quanto umanamente possibile.  E’ questo quello che avviene, in varie forme, in tutti i paesi di più consolidata tradizione democratica.

b) L’obbligatorietà dell’azione penale sottrae al controllo democratico le scelte di politica criminale. L’impossibilità materiale di perseguire tutti i reati lascia di fatto alla discrezionalità di un corpo burocratico reclutato per concorso,  e quindi senza legittimazione democratica, la definizione di quali reati perseguire  prioritariamente e con efficacia. In altre parole definire di fatto gran parte delle politiche pubbliche nel settore criminale.  Ciò non avviene in nessun paese a consolidata tradizione democratica.  Vale a riguardo ricordare quanto lapidariamente affermato dalla Commissione presidenziale francese a cui, nel 1997, il Presidente Chirac aveva, tra l’altro, demandato il compito di esplorare la possibilità di adottare il principio di obbligatorietà.  La Commissione liquidò la questione in poche parole ricordando che nessun paese era mai riuscito né sarebbe mai potuto riuscire a perseguire tutti i reati.  Che quindi  un pubblico ministero pienamente indipendente chiamato ad applicare quell’inapplicabile principio avrebbe comunque dovuto compiere scelte di priorità.  Cioè scelte di politica criminale.  Concludeva ricordando che in un paese democratico le politiche pubbliche in tutti i settori, e quindi anche nel settore criminale, devono essere definite da organi che ne rispondano politicamente. 

c) L’obbligatorietà dell’azione penale rende il pubblico ministero irresponsabile delle decisioni discrezionali che compie.  Data la impossibilità di perseguire tutti i reati, i nostri pubblici ministeri adottano, e non possono non adottare, decisioni discrezionali nell’uso dei mezzi di indagine e nell’esercizio dell’azione penale.  A differenza di quanto avviene in altri paesi democratici essi non portano responsabilità alcuna per quelle decisioni, né sul piano della valutazione della loro professionalità, né disciplinarmente né finanziariamente.  Se le loro indagini e la loro iniziativa penale risulta inconsistente a livello del giudizio o anche prima (il che capita di frequente) la giustificazione che danno i pubblici ministeri è sempre stata pronta e risolutiva:  poiché avevamo ragione di ritenere che un crimine fosse stato commesso, erano costretti ad agire onde non violare il principio di obbligatorietà.  In buona sostanza l’obbligatorietà dell’azione penale trasforma qualsiasi decisione di natura discrezionale dei PM in materia di indagini ed iniziativa penale in un “atto dovuto”, cancella qualsiasi loro responsabilità per le decisioni prese,non è sanzionabile anche nei casi in cui sono state investite ingenti risorse in inutili ed ingiustificate indagini.

e) L’obbligatorietà dell’azione penale è di pregiudizio ai diritti del cittadino nell’ambito processuale.  Un uso avventato o indebito dell’iniziativa penale può produrre, e spesso produce, devastanti conseguenze sullo status sociale, economico, familiare, politico e della stessa salute dell’indagato o imputato.  Conseguenze cui non si rimedia  con una sentenza di proscioglimento che giunge spesso a distanza di anni.  In vari paesi democratici le regole relative all’esercizio dell’azione penale sono specificamente mirate anche ad evitare che pervengano in giudizio processi che non siano basati su solide basi probatorie (ad es. in Inghilterra e Galles).  Stabilire queste regole anche da noi sarebbe contrario all’obbligatorietà dell’azione penale.  In un discorso tenuto ai procuratori federali degli Stati Uniti nel 1941 l’allora U.S Attorney General Robert Jackson, poi divenuto notissimo giudice della Corte Suprema, ricordava che se si lascia al pubblico ministero la possibilità di scegliere i casi da perseguire si lascia a lui anche la possibilità di scegliere le persone da perseguire e di dirigere le indagini alla ricerca di prove per i possibili reati da lui/lei commessi.  Affermava che -per il cittadino e la democrazia- questo è il maggiore pericolo insito nel ruolo del pubblico ministero.  I poteri concessi al nostro pubblico ministero –tutti in vario modo collegati al principio di obbligatorietà-  sono tali da rendere quel pericolo molto più grave ed incombente che in qualsiasi altro paese a consolidata democrazia.   E’, infatti,  pienamente legittimo che i nostri PM di loro iniziativa  conducano,  in assoluta indipendenza, indagini di qualsiasi tipo su ciascuno di noi, dirigendo le varie forze di polizia ed utilizzando tutti i mezzi di indagine disponibili, senza limitazioni di spesa, per accertare  reati che loro stessi (più o meno fondatamente) ritengono essere stati commessi.  Per queste decisioni non possono in alcun modo essere ritenuti responsabili, neanche quando producono devastanti effetti su cittadini ingiustamente indagati o imputati e sulle loro famiglie.  Come già detto il principio di obbligatorietà dell’azione penale trasforma tutte le loro iniziative in “atti dovuti”. 

f) L’obbligatorietà dell’azione penale è causa di lentezza ed inefficienza della giustizia penale.  In altri paesi democratici le regole che impegnano il PM  a non portare a giudizio cause per cui non esistono solidi elementi di prova  servono ad evitare di sovraccaricare il lavoro dei giudici (il numero di assoluzioni da noi è molto elevato).  Inoltre consentono loro di celebrare i processi in tempi più rapidi e di evitare che vadano in prescrizione processi per cui quelle prove sono inconfutabili (da noi le prescrizioni sono circa 200.000 l’anno) .  Un diverso orientamento è “al contempo ingiusto per chi viene accusato e un inutile spreco delle limitate risorse del sistema di giustizia penale” secondo le lapidarie parole usate nei lavori preparatori della riforma del PM inglese del 1985. 

Le norme sulle priorità nello svolgimento dei processi attualmente all’esame del Parlamento sono certamente utili per rendere più probabile che quelli per i reati più gravi vengano celebrati e che i colpevoli vengano effettivamente condannati. E’ tuttavia un intervento che fa di necessità virtù.  Infatti da un canto le indicazioni di priorità contenute nella norma non possono che essere molto rigide e sintetiche rispetto alla grande articolazione che invece assumono quelle che negli altri paesi riguardano le attività del PM.  Divengono quindi facile oggetto di critiche per aver ignorato aspetti importanti della realtà processuale e degli interessi coinvolti.   D’altro canto le priorità nella celebrazione dei processi, a differenza di quelle che riguardano le attività del PM, non promuovono una maggiore efficienza dell’apparato giudiziario perché i costi processuali precedenti alla fase del giudizio, molto elevati, sono comunque già stati “pagati” per tutti i processi pendenti (attività investigative, lavoro del PM, lavoro del giudice dell’udienza preliminare, ecc.).

Quattro telegrafiche postille. La prima:  ha ragione il Senatore Berselli nel ricordare che la norma da lui proposta sulle priorità nella celebrazione dei processi non è una novità.  Sono state approvate norme dello stesso tipo dal Parlamento per iniziativa governativa in almeno in due precedenti circostanze, e cioè:  l’art. 227 del D.lgs. n.51 del febbraio 1998 (Governo Prodi), l’art. 132 bis del codice di procedura penale nel marzo 2001  (Governo D’Alema), senza che i magistrati avessero nulla da obiettare.

Seconda postilla: ormai politici e giornalisti fanno a gara nel denunziare l’inapplicabilità del principio di obbligatorietà dell’azione.  Vi è anche chi si compiace (tra gli altri Ostellino sul Corsera) che lo abbia ammesso anche l’On. Violante al quale tuttavia sarebbe opportuno domandare quali siano le ragioni politiche e gli obiettivi di natura giudiziaria che lo hanno indotto a tacere per vari decenni su un fenomeno di cui era certamente a conoscenza fin dai tempi in cui era giudice istruttore a Torino negli anni 1970.  Oppure anche quali siano gli obiettivi che l’inducono a parlarne solo ora.

Terza postilla. Che io sappia, la prima proposta legislativa per l’abolizione del principio di obbligatorietà dell’azione penale la si trova nel progetto di riforma presentato da Forza Italia alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, nel 1997.  E’ stata ora riproposta dall’On. Bernardini (si tratta di un’idea che l’On. Pannella coltiva da molti anni).  Su questo giornale l’On. Veltroni ha proposto di regolarla con il concorso del Parlamento. Che sia la volta buona?

Quarta postilla:  in questo articolo si è omesso di affrontare un tema strettamente correlato all’obbligatorietà dell’azione penale e cioè quello dell’indipendenza del pubblico ministero.  Ce ne occuperemo in un prossimo articolo

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