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L’arbitrarietà dell’azione penale e le iniziative di cui parla Violante

8 luglio 2008

Il Riformista, 8 luglio 2008

 

Venerdì corso sul giornale da Lei diretto è apparso un articolo dell’On. Violante nel quale si commentano e si criticano due aspetti del mio articolo sull’obbligatorietà dell’azione penale apparso, anch’esso, sul Suo giornale il primo luglio scorso.  Nel mio articolo suggerivo ad alcuni giornalisti di domandare all’On. Violante quali fossero le ragioni che lo avevano per molto tempo indotto a tacere su un fenomeno quale quello dell’inapplicabilità del principio di obbligatorietà dell’azione penale e delle  molteplici conseguenze disfunzionali che esse genera in un sistema democratico.  Nel suo articolo Violante mi ricorda che di quel fenomeno non ne ha parlato solo di recente, ma che lo ha fatto pubblicamente anche in passato. Per la prima volta nel 1998 in due diversi contesti, e cioè: in un libro da lui curato (che conosco, anche perché in esso vi è lo scritto di un mio allievo, il prof. Guarnieri), e  in occasione di un convegno degli avvocati penalisti di quell’anno (ero presente).  Se Violante legge bene il mio articolo vedrà che mi sono rivolto ai giornalisti che oggi si compiacciono che Lui abbia recentemente espresso giudizi negativi sul principio di obbligatorietà. Non parlavo di me perchè le cose da lui dette le conoscevo già.  Nel mio articolo suggerivo a quei giornalisti di domandare  quali fossero “le ragioni politiche e gli obiettivi di natura giudiziaria” che  hanno indotto Violante “a tacere per vari decenni  su un fenomeno di cui era certamente a conoscenza fin dai tempi in cui era giudice istruttore a Torino negli anni 1970”.  La domanda mantiene intatta la sua validità: Violante non ne ha parlato negli anni ’70, non negli anni ’80, ma, per sua stessa ammissione, solo alla fine degli anni ‘90, cioè vari anni dopo il periodo di Tangentopoli, che quel fenomeno aveva evidenziato in maniera eclatante, e dopo che le iniziative giudiziarie di quell’epoca avevano spazzato via tutti i partiti politici preesistenti, tranne il Suo.  Nel suo articolo Violante ci ricorda che nel suo intervento al convegno degli avvocati del 1998, lui denunziò “l’assoluta arbitrarietà della scelta delle priorità  nella trattazione degli affari penali” e le conseguenze negative che ciò comporta per il cittadino.  Questo solleva un ulteriore domanda, visto che nei successivi dieci anni Violante non ha svolto attività di tipo contemplativo ma è stato invece un parlamentare di notevole peso:  come mai non ha mai assunto nessuna iniziativa legislativa per porre rimendio a “l’assoluta arbitrietà” dell’azione penale ed ai pregiudizi che essa comporta per i cittadini di cui allora e ancora adesso lui stesso ci parla?

Vengo al secondo ordine di critiche che Violante mi rivolge e che riguarda la norma all’esame del Parlamento che regola le priorità nello svolgimento dei processi.   Se vuol sapere da me se io avrei proposto un norma di quel tipo, la risposta è no.  Non avrei neppure proposto le due norme che precedentemente hanno stabilito priorità nella celebrazione dei processi  approvate per iniziativa dei Governi Prodi e D’Alema nel 1998 e nel 2001.  Come ho spiegato nel mio articolo non sono norme che possono avere grande efficacia nello snellire e rendere meno costoso il  processo penale: non sono state efficaci in passato e, a mio avviso, non lo saranno neppure questa volta. L’unica soluzione efficace è quella percorsa dagli altri paesi democratici e, cioè quella di regolare in maniera eguale per tutti l’uso dei mezzi di indagine e le priorità nell’esercizio dell’azione penale.   Nel suo articolo Violante dice  testualmente che in passato per ben due volte il Parlamento ha “fissato criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale”.  Ammetto umilmente di non essermene accorto. Credevo che il Parlamento l’avesse fatto solo con riguardo alla celebrazione dei processi, che è cosa ben diversa.  

Sono molto grato al dott. Polito per la pubblicazione di questa lunga lettera.

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