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Solo in Italia magistrati inamovibili

15 marzo 2009

Pubblicato su L’Opinione

Da tempo si discute anche sui giornali ed in TV delle gravi difficoltà in cui versano quei numerosi tribunali e procure della Repubblica che operano con un organico fortemente ridotto perché in sedi non gradite ai magistrati. Sono difficoltà che derivano dall’ampiezza che da noi ha assunto il principio dell’inamovibilità dei magistrati. Un ampiezza che a sua volta deriva da una evoluzione del nostro ordinamento che ha visto progressivamente prevalere un concetto di indipendenza che si identifica con gli interessi corporativi dei magistrati. A pagarne il prezzo sono l’efficienza dell’apparato giudiziario sotto numerosi aspetti. Per verificare queste affermazioni, seppur solo con riferimento alle difficoltà che si incontrano nel destinare magistrati a sedi non gradite, cominciamo col domandarci come mai queste disfunzioni non si verificano in altri paesi dell’Europa continentale che hanno magistrature burocratiche simili alla nostra.

Non possono verificarsi negli uffici di procura perché negli altri paesi i pubblici ministeri non sono inamovibili (non in Francia, Austria, Germania, Olanda, e così via). tale prerogativa riguarda, cioè, solo chi esercita funzioni giudicanti.

Persino l’inamovibilità dei giudici non è sempre assoluta, anche se sempre rigorosamente regolata. In Germania, ad esempio, si viene nominati “giudici a vita”, divenendo quindi inamovibili, solo dopo 3 o 5 anni di esercizio delle funzioni giudiziarie (ciò consente ai giovani magistrati di maturare esperienze operative diversificate). In tutti gli altri paesi europei a consolidata democrazia, inoltre, le promozioni comportano sempre una interruzione dell’inamovibilità ed una destinazione a funzioni ed anche a sedi differenti da quelle precedenti. Ho fatto l’esempio della Germania perché ha un assetto per alcuni versi simile a quello esistente anche da noi fino agli anni 60’, quando le destinazioni d’ufficio alle sedi scoperte erano sempre possibili e la mobilità tra gli uffici era alquanto elevata soprattutto nei primi 5 anni di attività giudiziaria: l’inamovibilità si acquisiva solo con la nomina a magistrato di tribunale (allora dopo 5 anni dall’ingresso in magistratura) e per ottenere quella promozione i magistrati dovevano svolgere le loro funzioni giudiziarie presso le sedi di pretura per almeno due anni. Dopo due anni dall’ingresso in magistratura giudici e pubblici ministeri, inoltre, dovevano sostenere un esame scritto ed orale (esame da “aggiunto giudiziario”) a seguito del quale potevano essere assegnati d’ufficio ad altra sede. Quando ottenevano una promozione (a magistrato di appello, di cassazione ecc.) dovevano di necessità essere destinati ad un altro incarico giudiziario che fosse corrispondente alla loro nuova qualifica, Nel loro insieme questi meccanismi ordinamentali generavano mobilità ed evitavano, tra l’altro, che rimanessero scoperte le sedi non gradite. Questi meccanismi, tuttavia sono stati tutti cancellati nel corso degli ultimi 40 anni o a seguito di interventi legislativi richiesti dal sindacato dei magistrati in nome dell’indipendenza, oppure da prassi decisionali del CSM adottate allo stesso fine.

E’ stato abolito l’esame “da aggiunto” nel 1970. Le nuove leggi sulle promozioni approvate a partire dal 1966, prevedevano sì seri vagli di professionalità, ma consentivano (solo in Italia) di promuovere i magistrati oltre il numero dei posti vacanti disponibili ai livelli superiori della giurisdizione pur trattenendoli a svolgere funzioni giudiziarie ai livelli più bassi. Da allora, e per 40 anni, il CSM, con rarissime eccezioni, ha promosso con valutazioni altamente laudative tutti i magistrati al compimento della minima anzianità prevista per il passaggio da una qualifica all’altra, fino al vertice della carriera (e dello stipendio). Persino i magistrati che per moltissimi anni non svolgono funzioni giudiziarie (ad esempio vengono regolarmente promossi “per merito” i magistrati che siedono in Parlamento). Un’evoluzione che non deve sorprendere più di tanto se si tiene conto della circostanza che due terzi dei componenti elettivi del CSM sono di fatto rappresentanti delle varie correnti del sindacato della magistratura.

Due le conseguenze (per quel che qui ci interessa):

a) il numero dei magistrati collocati ai livelli superiori della carriera, ma trattenuti a svolgere le funzioni ai livelli più bassi, è progressivamente divenuto di gran lunga il più numeroso.

b) non essendovi più corrispondenza tra momento della promozione e l’obbligatorio trasferimento a diverse funzioni, si è di conseguenza anche dilatato l’ambito di applicazione del principio di inamovibilità sino a coprire l’intero periodo della permanenza in servizio. In altre parole i magistrati, se lo vogliono, possono rimanere nella sede di prima destinazione anche per i successivi 40/45 anni, cioè sino al pensionamento.

Alle sedi sgradite, cioè, possono essere destinati obbligatoriamente solo i magistrati al termine del loro tirocinio iniziale (che dura 18 mesi). Da molti anni queste sedi sono quindi composte quasi esclusivamente da magistrati di prima nomina, magistrati che si trasferiscono poi appena possibile lasciando il posto a nuove “reclute”. Per giunta senza che il CSM assicuri che vi sia corrispondenza temporale tra i trasferimenti e l’arrivo delle nuove leve. Si tratta cioè di sedi dove si concentrano magistrati di limitata esperienza, che soffrono di un notevole tasso di avvicendamento e dove la discordanza tra momento dei trasferimenti ed arrivo dei nuovi magistrati destinati di ufficio crea prolungati vuoti di organico.

Quali i rimedi?. Si è da anni provveduto a fissare per legge incentivi economici ed altri benefici per i magistrati che chiedono di trasferirsi in sedi non desiderate. Finora senza risultati apprezzabili. . Di recente, per iniziativa del ministro Alfano, gli incentivi economici sono stati notevolmente elevati: oltre allo stipendio già percepito ben 2.600 euro netti aggiuntivi per un periodo di quattro anni (in tutto più di 120.000 euro). Vedremo se si tratta di misura risolutiva. Rimane il fatto che si siano dovute adottare norme emergenziali ed esborsi di pubblico danaro aggiuntivi per ottenere ciò che in altri Paesi si ottiene senza di essi. Non sarebbe più opportuno ristabilire finalmente anche da noi un più adeguato equilibrio tra le garanzie di indipendenza ed inamovibilità da un canto ed esigenze di funzionalità dell’apparato giudiziario dall’altro?. Aggiungo due postille.

Prima postilla: neppure l’abolizione di fatto della carriera, fortemente voluta dai magistrati, sembra sia riuscita a cancellare del tutto una delle caratteristiche dei corpi burocratici, ove si entra in carriera per concorso e vi si rimane per l’intera vita lavorativa, cioè quella di primeggiare rispetto ai colleghi. L’unica forma di visibile riconoscimento rimasta è quella della nomina agli uffici direttivi. Per questi incarichi gli aspiranti non sono mai mancati, neppure per quelle sedi sgradite per le quali è impossibile trovare aspiranti per le posizioni di “semplice” giudice o sostituto procuratore.

Seconda postilla: E’ sicuro il Ministro Alfano che i benefici economici previsti per i magistrati che “volontariamente” si fanno trasferire nelle sedi sgradite non abbiano conseguenze impreviste?. Alcune le ha già anticipate sul Corriere della Sera il Presidente del sindacato della magistratura, il Dott. Palamara, domandando se sia possibile dare rilevanti compensi aggiuntivi a chi si trasferisce e non anche ai magistrati che già svolgono le loro funzioni nelle sedi sgradite.

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